Corriere del Mezzogiorno (Campania)
DEBITO, GAME OVER ARANCIONE
Game over. La decisione della Corte dei conti di ieri, nell’aprire la porta alla dichiarazione di dissesto del Comune di Napoli, chiude probabilmente la stagione politica arancione. Forse il sindaco rimarrà in carica a vivacchiare urlando al complotto, ma non avrà più il potere reale per nessun atto di indirizzo che possa incidere sulla vita dell’amministrazione comunale e, soprattutto, dei cittadini. L’agonia della «rivoluzione» di de Magistris viene da lontano e il sigillo formale e definitivo della Corte dei conti sul disastro delle casse comunali non aggiunge granché, nel merito, al giudizio politico su un’amministrazione che ha già dimostrato di non essere all’altezza della situazione. La formalizzazione del disastro finanziario aggiunge, però, una considerazione sul piano del metodo politico. Sul fatto di aver ereditato una montagna di debiti dal passato de Magistris ha ragione e, forse, la carenza strutturale di risorse è l’unica vera attenuante che può invocare. Il debito CR8 non inserito nel bilancio 2016 è un esempio di debito ingiustamente accollato al Comune di Napoli, essendo stato contratto dal sindaco di Napoli in qualità di commissario straordinario del Governo per il terremoto; dunque, nella sostanza, è un debito dello Stato e non del Comune. La soluzione, però, non può essere quella di negare la realtà in ragione di un malinteso principio di giustizia.
Non può essere quella di opporre la presunta ingiustizia dell’ordinamento giuridico per giustificarne il mancato rispetto.
Il sindaco si è posto nei confronti della legge come Antigone nei confronti di Creonte, opponendo il sentimento di giustizia alle regole vigenti, rifiutando cioè di applicarle perché le sentiva ingiuste. Ma dalla tragedia di Sofocle, che pure si può considerare parte del fondamento filosofico e culturale dei moderni sistemi di giustizia costituzionale come insegna Gustavo Zagrebelsky, sono passati 2500 anni nel corso dei quali il pensiero giuridico ha elaborato modelli ordinamentali che consentono di mettere in discussione anche la legge, quando la si ritiene illegittima, attraverso meccanismi istituzionali e non ribellistici.
Nel nostro ordinamento è la Corte costituzionale che ha il potere di annullare le leggi illegittime; e finché non lo fa tutti sono tenuti a rispettarle, e primi fra tutti i pubblici amministratori.
Ma se sul piano giuridico la via scelta dal sindaco per far valere le ragioni delle casse comunali è sbagliata, ancor di più lo è sul piano politico.
Sin dal primo giorno del suo insediamento era chiaro che le finanze fossero in dissesto, tanto che il suo assessore al bilancio fu rapidamente defenestrato per averlo detto anziché impegnarsi in giochi di finanza creativa.
La soluzione doveva essere, se non quella di formalizzare il dissesto, quella di mediare e negoziare con il Governo nazionale, ossia fare politica anziché propaganda. Invece non si è persa occasione per attaccare in modo scriteriato tutto e tutti, meravigliandosi poi di trovare le porte chiuse quando si andava a chiedere aiuto o anche a far valere le proprie legittime ragioni.
Adesso assisteremo alle «quattro giornate», dopo aver assistito al Sindaco di strada. Al di là del richiamo sgangherato a eventi storici gloriosi e drammatici, sarebbe solo folclore, se non fosse che il prezzo di tutto questo sarà un ulteriore abbassamento dei servizi forniti ai cittadini, che sentiranno, soprattutto i più deboli, ancora una volta, sulla loro pelle, le conseguenze di un’amministrazione evidentemente inadeguata.
L’unica consolazione è che la legge impedisce a chi sia riconosciuto responsabile del dissesto di candidarsi a qualunque altra carica per i dieci anni successivi.