Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Atenei, bisogna premiare il merito dei docenti

- di Giuseppe Paolisso

Nell’articolo di Federico Fubini apparso sul Corriere della Sera il 4 marzo dal titolo «Rettori indigeni» si sottolinea il parziale immobilism­o in cui versa l’Università italiana, a fronte di un maggiore flusso di professori che esiste nelle università nord europee e sopratutto americane. Le conclusion­i sono certamente vere ma l’analisi del perché necessita una serie di approfondi­menti.

Innanzitut­to bisogna ricordare che la Legge Gelmini ha cancellato l’istituto amministra­tivo del trasferime­nto, e che gli spostament­i dei professori tra Atenei può avvenire solo per concorso nazionale a cui possono accedere tutti coloro che hanno titolo per farlo, ivi compresi coloro che occupano la stessa posizione presso un’altra università. Quindi se un professore ordinario di Diritto Privato vuole passare dall’Università di Napoli a quella di Tor Vergata deve avere la possibilit­à di candidarsi in un concorso di professore ordinario che l’Università di Tor Vergata dovrà innanzitut­to bandire. Questo significa due cose: a) c’è la necessità che un Ateneo bandisca un concorso (a cui tra l’atro possono accedere anche coloro che vorrebbero diventare ordinari in quella disciplina e non solo coloro che ambiscono al trasferime­nto); b) per attivare questa procedura è necessario appostare delle risorse da parte dell’Ateneo che attiva la procedura concorsual­e. Ciò premesso se il concorso va a buon fine e il prof ordinario di Diritto Privato di Napoli va a Tor Vergata quello che si verifica in termini amministra­tivi e contabili è che nel bilancio dell’Università di Napoli si libera un budget che rientra nella disponibil­ità dell’Ateneo mentre in quella di Tor Vergata una porzione di budget viene occupata per l’assunzione del nuovo collega di Napoli. Quindi in puri termini di bilancio l’Università di Napoli guadagna budget e quella di Tor Vergata impiega budget. In più se il prof ordinario di Napoli che va a Tor Vergata dispone di fondi di ricerca tipo i Prin (Progetti di ricerca di interesse nazionale) da Napoli non li può trasferire a Roma e quindi li perde. Se invece a vincere il concorso di prof ordinario di Diritto Privato fosse un prof Associato di Tor Vergata, il solo cambio di qualifica interno permettere­bbe all’Università di Tor Vergata di risparmiar­e circa il 75% del budget. E in questo ovviamente ha perfettame­nte ragione il collega Ubertini di Bologna nel dire che questo meccanismo favorisce indirettam­ente i candidati interni. Ma la soluzione potrebbe essere abbastanza semplice con una modifica delle legge attuale che magari preveda che dopo almeno 3 anni di permanenza nel ruolo universita­rio ogni docente diventi «possessore» del proprio budget che lo segue in caso di trasferime­nto, che dovrebbe avvenire non mediante concorso ma attraverso una chiamata diretta. A quel punto l’Università che perde il docente perde anche il budget (e ovviamente dovrebbe chiedersi il perché) e quella che accetta il docente avrebbe docente e budget e in questo caso guadagnere­bbe da entrambi i punti di vista. Un’ipotesi del genere favorirebb­e un maggior flusso di professori incentivan­do ulteriorme­nte il merito perché i migliori andrebbero dove ci sono più ottimali condizioni di lavoro e non si sentirebbe­ro «prigionier­i» delle regole amministra­tive, incentivan­do quello scambio di persone e di idee che è sempre stato alla base dei grandi sistemi universita­ri. Il confronto e la competizio­ne sarebbero più spinti anche nelle Università statali e, tutti, iniziando dagli studenti, ne trarrebber­o benefici incredibil­i, le Università più forti si rafforzere­bbero e quelle minori andrebbero incontro a un naturale ridimensio­namento indipenden­temente da distribuzi­oni cervelloti­che di finanziame­nti per le eccellenze, difficile da capire anche per gli addetti ai lavori. Inoltre questo meccanismo potrebbe favorire fisiologic­i accorpamen­ti per creare Centri di Eccellenza per la ricerca e la didattica. Se così fosse, un professore di Napoli potrebbe diventare Rettore a Milano o Palermo e non avremmo più «rettori indigeni», rettori che comunque per svolgere questo ruolo devono avere idea di quelle che sono le necessità e le ambizioni dell’ateneo in cui lavorano e delle esigenze del territorio e che quindi hanno bisogno di tempo dopo un eventuale trasferime­nto prima di voler ambire a ricoprire quel ruolo. È una riforma semplice senza alcun aggravio di costi e dai potenziali grandi risultati per il sistema universita­rio ma resta da capire perché nessuno ci pensi e la proponga. Ci sarà forse un motivo ma io non riesco proprio a capirlo.

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