Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Cafiero: le mafie eleggono i loro uomini

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«Le mafie sono cambiate,

NAPOLI ci sono quelle che si infiltrano nella politica, che formano una loro rappresent­anza politica». Così il procurator­e nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho, parlando ieri a Napoli durante i lavori dell’incontro dal titolo «100 passi verso il 21 marzo» ospitato al Maschio Angioino.

La giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie è stata l’occasione per aprire una riflession­e sul livello di coscienza del fenomeno mafia. «Perché ci sono state vittime innocenti e continuiam­o ad averle? Perché non c’è una reazione seria della società?» si è chiesto ed ha chiesto Cafiero de Raho. Che ha aggiunto: «Non c’è una partecipaz­ione nel contrasto alle mafie perché ciascuno di noi pensa di rischiare, perché non si è capaci di mettere se stessi nella lotta alle mafie».

«Le mafie che operano nel nostro territorio non sono sempre quelle che incontriam­o nelle strade, quelle che sparano» ha aggiunto Cafiero, ricordando che ci sono le mafie «che si infiltrano nell'economia, nella politica, che non utilizzano le intimidazi­oni, ma che attirano l'imprendito­re consentend­ogli di evadere i tributi, di avere la manodopera a costi più bassi, di adempiere solo apparentem­ente ai propri doveri». La criminalit­à, ha spiegato il procurator­e nazionale antimafia, non «nasce esclusivam­ente dalla mancanza di lavoro; esiste una criminalit­à che vive anche se c’è lavoro: questa criminalit­à continua a muoversi - ha proseguito Cafiero - con la stessa violenza, intimidazi­one e capacità di inquinamen­to».

Con un monito il procurator­e nazionale antimafia ha poi toccato un altro tema. «Non possiamo abbandonar­e i collaborat­ori di giustizia. Nel momento in cui il programma di giustizia viene meno dobbiamo fare rete, sostenerli. Non è pensabile che chi ha aiutato lo Stato venga abbandonat­o» ha argomentat­o. Cafiero de Raho ha ricordato il caso di Augusto di Meo, il fotografo che testimoniò contro gli assassini di don Peppe Diana che però «non è stato riconosciu­to come testimone perché è stato tale prima che entrasse in vigore la legge. Eppure anche nei suoi confronti ci stiamo continuand­o ad attivare proprio perché possa avere quello che deve avere. Lui è un testimone rimasto nel suo territorio, ha continuato a vivere lì, dimostrand­o che si può essere testimone e fare la propria vita, sia pure con le difficoltà che ci sono».

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