Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Tari più cara a Napoli che al Nord per alberghi, fruttivendoli e barbieri
Dossier di Ref Ricerche: «Spesa sganciata dalla qualità del servizio»
I cittadini, e in particolare
NAPOLI quelli campani, lo sanno benissimo perché verificano da tempo sulla loro pelle (e specialmente sulle loro tasche) quanto si spende per i tributi pur ricevendo quasi nulla in cambio. D’altronde, le imposte locali elevate che sono costretti a versare assicurano molto di rado l’erogazione di servizi pubblici adeguati. Anzi, tra casse dissestate o indebitate o comunque in affanno, i capoluoghi di provincia della Campania sono puntualmente impegnati a trovar soldi per sopravvivere, piuttosto che ad organizzare i servizi. E con la Tari, la tassa sui rifiuti, questo aspetto della questione è ancora più evidenziato.
Uno studio di Ref Ricerche per il Sole 24 ore ha esaminato quanto incidono le dinamiche tributarie per ogni metro quadrato nei capoluoghi di provincia in relazione a quattro tipi di attività: quella alberghiera, dei supermercati, dei saloni per parrucchiere e dei negozi di ortofrutta. In corrispondenza a queste tipologie di attività commerciali sono state verificate anche le caratteristiche e la qualità del servizio, la percentuale di raccolta differenziata, la completezza della Carta del servizio e l’attenzione alle imprese.
È sufficiente planare sulle cifre di Napoli per comprenderlo subito: nel capoluogo partenopeo l’importo della Tari in relazione ai metri quadrati che è costretta a pagare un albergo incide con una delle percentuali maggiori in Italia: 11,81 per cento. Così per i negozi di parrucchiere: 16,43 per cento. Per non dire di un fruttivendolo che paga per una percentuale del 55,57 per cento in rapporto ai metri quadrati del negozio che gestisce. Oppure del 23,82% spettante ai supermercati.
Caserta non è tanto da meno rispetto a Napoli: il conto all inclusive per i rifiuti, incluse la quota fissa, variabile e l’addizionale provinciale, per metro quadrato, incide del 10,28 per cento per gli alberghi; del 10,10 per cento per i parrucchieri; del 15,77 per cento per i fruttivendoli e per i supermercati. A Salerno la percentuale di incidenza al metro quadrato è meno elevata: si aggira intorno al 9,8 per cento per gli alberghi; del 6,55 per cento per i parrucchieri; del 17,31 per cento per i negozi di ortofrutta e del 13,17 % per i supermercati. Anche per coloro che hanno elaborato il dossier la vera sorpresa, benché l’orientamento fosse noto, è dettata dalla «forte variabilità della spesa dal Nord al Sud — commenta Donato Berardi, direttore del Laboratorio sui servizi pubblici locali di Ref Ricerche —. Oltre che per l’entità degli aumenti e delle riduzioni nel costo del servizio nell’ultimo anno, colpisce il fatto che la spesa sia sganciata dalla qualità del servizio: contesti a bassa spesa e buona qualità convivono con altri in cui il costo è elevato e la qualità mediocre». Prendendo come esempio un negozio di 30 metri quadrati, il prelievo potrebbe schizzare fino a 3 mila euro. Il vero problema è che tra le regole poco chiare e l’esigenza di far cassa da parte delle amministrazioni locali «non si può escludere che le tariffe — sottolinea ancora il dirigente di Ref Ricerche — finanzino anche spese che poco hanno a che fare con il servizio stesso, vista l’ampia discrezionalità degli enti locali».
Insomma, un imprenditore del settore alberghiero spende molto meno in imposte e tributi se investe a Belluno, apre una attività ad Udine e inaugura un albergo a Cuneo piuttosto che a Napoli o a Caserta. Mentre la forbice — fa notare il Sole 24 ore — si allarga a dismisura se si mette a confronto la Tari che pagano i parrucchieri e i centri estetici del Nord (favoriti da aliquote più che apprezzabili) e quelli campani e del Sud. O i gestori di un negozio di ortofrutta: particolarmente tassati a Napoli e a Venezia.