Corriere del Mezzogiorno (Campania)
I disastri delle politiche rigoriste
Gentile direttore, la sconfitta è come la tempesta: pulisce e rende limpida l’aria. Permettendo di vedere paesaggi lontani ai quali la foschia ci aveva disabituati. Le ragioni di questa débâcle arrivano da lontano, ma non da lontanissimo. Da quando decidemmo di appoggiare vari Governi costruiti in vitro, senza il passaggio obbligatorio del voto.
Come se ci fosse stata una sfiducia delle urne e, sullo sfondo, delle capacità di interagire con il nostro popolo. Da questo vulnus nasce una prima frattura con il nostro elettorato che non si è sentito coinvolto nelle scelte del gruppo dirigente.
Le politiche rigoriste hanno distrutto il Mezzogiorno. Sia dal punto di vista industriale, che sociale. Unitamente ai mancati trasferimenti ai Comuni. Vera prima linea di una guerra alla povertà che sembra non elegante citare nei convegni. Viviamo il paradosso di uno Stato che continua a trovare soldi per ripianare le banche - pur apprezzando il fine di salvaguardia del credito e dei creditori - ma non quelli per fornire fondi ai bilanci degli enti locali che sono più che dimezzati nel corso di questi ultimi anni. Questo, unitamente alla mancanza di concrete – e non annunciate – politiche industriali e di sviluppo per il Sud, ha prodotto una miscela esplosiva nella quale il “salvifico” reddito di cittadinanza è sembrato la panacea di tutti i mali. E invece la camorra – vera truppa di occupazione che distrugge speranze ed economia delle nostre comunità – si combatte con il lavoro, non con i sussidi.
A questo si aggiunge che i sistemi elettorali hanno previlegiato non l’appartenenza a una comunità, o il successo in un’attività professionale e lavorativa, ma solo la fedeltà al referente di turno.
Arriva da questa visione – dove l’ascolto delle ragioni dell’altro, in buona sostanza è vista come una perdita di tempo – la rottura sistematica dei rapporti con i corpi sociali intermedi. Che hanno perso la funzione di cinghia di trasmissione delle istanze, e sono diventati anche loro frutto di nomenclature auto riproduttive. E non è un caso che in Campania solo da pochi mesi i sindacati siano usciti da lunghi commissariamenti. A questo si aggiunge che abbiamo assistito inerti alla spoliazione del nostro sistema del credito. Partendo dalla svendita del Banco di Napoli, a favore del Nord. Senza che la nostra classe dirigente abbia mosso un dito.
Ora quindi non rimane che costruire. Con i corpi sociali intermedi, con la piccola e media impresa, che produce questa sì lavoro e ricchezza. Con il nostro popolo.
Senza salvatori dell’ultima ora. Che non sono né richiesti, né benvoluti. Infine, un’ultima riflessione sulla città metropolitana: il suo mancato decollo ha prodotto come risultato che – per citare Nitti – «la corona di spine» è diventata la città di Napoli, e non i Comuni che la circondano, dove i problemi del quotidiano sono scaricati costantemente sulle amministrazioni limitrofe.Per questo sento la necessità di costruire con tutti, un ampio fronte di discussione che parta dall’esperienza degli enti locali, dalle nostre comunità, dal confronto quotidiano con i problemi dei nostri amministrati ed elettori, per arrivare a una piattaforma congressuale inclusiva di più esperienze, che ridia slancio e speranza alla sinistra italiana.
Ed è per questa visione che, insieme ad altri mi impegnerò, sin dai prossimi incontri. Da uomini delle istituzioni abbiamo sempre cercato soluzioni reali e concrete, senza alimentare scontri e ulteriori disagi. Il senso di responsabilità istituzionale e politico testimonia quanto sia indispensabile uscire da questa soffocante condizione, nell’interesse generale del Paese e dei suoi cittadini.
Ora si può e si deve ripartire da questo severo avvertimento che ci hanno inviato i nostri elettori. A una sconfitta – sia pure forte – si sopravvive. A una mancanza di progetto no.