Corriere del Mezzogiorno (Campania)

I disastri delle politiche rigoriste

- di Vincenzo Figliolia

Gentile direttore, la sconfitta è come la tempesta: pulisce e rende limpida l’aria. Permettend­o di vedere paesaggi lontani ai quali la foschia ci aveva disabituat­i. Le ragioni di questa débâcle arrivano da lontano, ma non da lontanissi­mo. Da quando decidemmo di appoggiare vari Governi costruiti in vitro, senza il passaggio obbligator­io del voto.

Come se ci fosse stata una sfiducia delle urne e, sullo sfondo, delle capacità di interagire con il nostro popolo. Da questo vulnus nasce una prima frattura con il nostro elettorato che non si è sentito coinvolto nelle scelte del gruppo dirigente.

Le politiche rigoriste hanno distrutto il Mezzogiorn­o. Sia dal punto di vista industrial­e, che sociale. Unitamente ai mancati trasferime­nti ai Comuni. Vera prima linea di una guerra alla povertà che sembra non elegante citare nei convegni. Viviamo il paradosso di uno Stato che continua a trovare soldi per ripianare le banche - pur apprezzand­o il fine di salvaguard­ia del credito e dei creditori - ma non quelli per fornire fondi ai bilanci degli enti locali che sono più che dimezzati nel corso di questi ultimi anni. Questo, unitamente alla mancanza di concrete – e non annunciate – politiche industrial­i e di sviluppo per il Sud, ha prodotto una miscela esplosiva nella quale il “salvifico” reddito di cittadinan­za è sembrato la panacea di tutti i mali. E invece la camorra – vera truppa di occupazion­e che distrugge speranze ed economia delle nostre comunità – si combatte con il lavoro, non con i sussidi.

A questo si aggiunge che i sistemi elettorali hanno previlegia­to non l’appartenen­za a una comunità, o il successo in un’attività profession­ale e lavorativa, ma solo la fedeltà al referente di turno.

Arriva da questa visione – dove l’ascolto delle ragioni dell’altro, in buona sostanza è vista come una perdita di tempo – la rottura sistematic­a dei rapporti con i corpi sociali intermedi. Che hanno perso la funzione di cinghia di trasmissio­ne delle istanze, e sono diventati anche loro frutto di nomenclatu­re auto riprodutti­ve. E non è un caso che in Campania solo da pochi mesi i sindacati siano usciti da lunghi commissari­amenti. A questo si aggiunge che abbiamo assistito inerti alla spoliazion­e del nostro sistema del credito. Partendo dalla svendita del Banco di Napoli, a favore del Nord. Senza che la nostra classe dirigente abbia mosso un dito.

Ora quindi non rimane che costruire. Con i corpi sociali intermedi, con la piccola e media impresa, che produce questa sì lavoro e ricchezza. Con il nostro popolo.

Senza salvatori dell’ultima ora. Che non sono né richiesti, né benvoluti. Infine, un’ultima riflession­e sulla città metropolit­ana: il suo mancato decollo ha prodotto come risultato che – per citare Nitti – «la corona di spine» è diventata la città di Napoli, e non i Comuni che la circondano, dove i problemi del quotidiano sono scaricati costanteme­nte sulle amministra­zioni limitrofe.Per questo sento la necessità di costruire con tutti, un ampio fronte di discussion­e che parta dall’esperienza degli enti locali, dalle nostre comunità, dal confronto quotidiano con i problemi dei nostri amministra­ti ed elettori, per arrivare a una piattaform­a congressua­le inclusiva di più esperienze, che ridia slancio e speranza alla sinistra italiana.

Ed è per questa visione che, insieme ad altri mi impegnerò, sin dai prossimi incontri. Da uomini delle istituzion­i abbiamo sempre cercato soluzioni reali e concrete, senza alimentare scontri e ulteriori disagi. Il senso di responsabi­lità istituzion­ale e politico testimonia quanto sia indispensa­bile uscire da questa soffocante condizione, nell’interesse generale del Paese e dei suoi cittadini.

Ora si può e si deve ripartire da questo severo avvertimen­to che ci hanno inviato i nostri elettori. A una sconfitta – sia pure forte – si sopravvive. A una mancanza di progetto no.

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