Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Si scrive «Satyricon», si legge Taurasi (giovane)
Persona davvero originale Luigi Tecce, vignaiolo irpino che si muove «sul confine» tra Paternopoli, Castelfranci e Montemarano, «senza navigatore», con la consapevolezza cioè che ogni viaggio enologico non è mai uguale a se stesso, un’esperienza unica e irripetibile che non nasce da comode rendite di posizione. Vini estremi i suoi? Forse sì, se per estrema s’intende la cura maniacale che viene spesa nel processo produttivo, e, soprattutto, la volontà di vivere il presente senza recidere le radici con una vitivinicoltura più vicina alle origini (la sua famiglia fa vino da svariate generazioni). Almeno a sentire lui, però, i suoi non sono vini «ideologici». Anche se bandisce i concimi chimici e cerca di ridurre al minimo indispensabile l’aggiunta di solfiti, rifiuta l’etichetta, spesso truffaldina, di vini biologici biodinamici. Vini, semplicemente vini. La sua piccola cantina si regge essenzialmente su due pilastri. Il primo è il Taurasi Poliphemo, l’etichetta più conosciuta. Il secondo è il Satyricon: in commercio attualmente c'è quello del millesimo 2015. Benché si tratti di un Campi taurasini, consideriamolo senza giri di parole un Taurasi giovane, solo leggermente meno concentrato e complesso rispetto al ciclopico rosso docg. Il colore è rubino scurissimo, praticamente impenetrabile. La rotazione ne evidenzia la concentrazione. Il quadro aromatico è molto tipico: confettura di ciliegie, prugne secche, quindi le spezie (delicate) la liquirizia, il cuoio nuovo, su piacevole sfondo balsamico. In bocca dimostra la sua genuina irruenza tannica, frenata da polialcoli che rendono il sorso più levigato. Sostenute l’acidità e la mineralità. Persistente, lascia la bocca pulita. La sua vita sarà senz’altro lunga e dall’esito tutto da verificare. Ancora giovane si adatta molto bene all’abbinamento con alcune specialità del quinto quarto, a partire dalla zuppa di soffritto. Poi sarà perfetto per la cacciagione.