Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Se i Teatri Uniti guidassero lo Stabile

- di Enrico Fiore

Mentre, insieme con Maria Savarese, sta lavorando all’allestimen­to della mostra «Trent’anni Uniti», che il Napoli Teatro Festival Italia ospiterà dall’8 giugno a Palazzo Reale, Angelo Curti ha rilasciato a Ilaria Urbani, de «la Repubblica», un’ampia intervista in cui, fra l’altro, ha detto due cose importanti, e importanti perché fra loro complement­ari.

Alla domanda: «Dopo trent’anni ormai al Mercadante sarebbe arrivato il momento di Teatri Uniti e Toni Servillo? La direzione di Luca De Fusco scade nel dicembre 2019...», ha risposto, cito testualmen­te da «la Repubblica», quanto segue: «È un’evoluzione possibile. Potremmo portare la nostra dote, la nostra esperienza di oltre trent’anni, le nostre risorse. Teatri Uniti ha un nucleo forte, il direttore artistico è Toni Servillo, forse potrebbe essere lui, è chiaro. Ci sono già state proposte da Roma e da Milano, ma, beh, farlo nella propria città è diverso»; ed ha aggiunto: «È il luogo dove vogliamo vivere, avrebbe un senso. Per ora il Bellini fa il vero lavoro di teatro stabile».

Si tratta di dichiarazi­oni penalizzat­e dall’obbligo alla sintesi che grava sui giornali. In realtà, Angelo Curti, e me l’ha spiegato nel corso di una chiacchier­ata telefonica seguita all’intervista in questione, ha detto qualcosa di più complesso e articolato: ciò che appare chiaro se si coglie il legame tra le frasi «È un’evoluzione possibile» e «Per ora il Bellini fa il vero lavoro di teatro stabile».

In breve, Curti non ha avanzato la candidatur­a di Toni Servillo alla direzione del Teatro Stabile di Napoli-Teatro Nazionale, ma ha prefigurat­o uno scenario ipotetico per il dopo Luca De Fusco. A Servillo, infatti, non interesser­ebbe la direzione artistica del nostro Stabile, se non altro perché fa l’attore; e del resto, se avesse potuto interessar­gli, lui avrebbe accettato, tanto per intenderci, la proposta che in tal senso gli fece il Piccolo. Torniamo, allora, ai concetti di «evoluzione» e di «vero lavoro di teatro stabile».

La storia trentennal­e di Teatri Uniti è una storia fondamenta­le proprio perché basata su una continua evoluzione. E tanto a partire già dal primissimo affacciars­i di Angelo Curti e di Mario Martone sulla ribalta del teatro di ricerca, a capo di un gruppo che si chiamava «Il Battello Ebbro». Lo spettacolo «Faust e la quadratura del cerchio», che nel ‘77 segnò allo Spazio Libero di Vittorio Lucariello l’esordio nella regia di Martone, non mi piacque, perché in più di un punto ricalcava «Presagi del vampiro» dell’allora «Il Carrozzone». Ma immediatam­ente cambiarono rotta, i ragazzi de «Il Battello Ebbro». Assunsero un nuovo nome, «Nobili di Rosa», e meno di nove mesi dopo si ripresenta­rono allo Spazio Libero con un nuovo spettacolo, «Avventure al di là di Tule», che costituiva, per l’appunto, una radicale evoluzione dei contenuti e delle forme praticati in precedenza.

Fu così che, poi, il Falso Movimento di Martone s’integrò in Teatri Uniti con il Teatro Studio di Caserta guidato da Servillo e il Teatro dei Mutamenti di Antonio Neiwiller. E non fu un’evoluzione il fatto stesso che Martone, avendo giudicato che si fosse esaurita la sua funzione all’interno di Teatri Uniti, decise di accettare la direzione artistica del Teatro di Roma?

Ma occorre intendersi, sul significat­o da attribuire al termine «evoluzione». Nel caso di Teatri Uniti, non si è trattato, e non si tratta, del semplice passaggio da uno stadio all’altro, ma dell’attuarsi «in progress» di un progetto. Non potrebbe spiegarsi diversamen­te il percorso che Toni Servillo ha compiuto dal teatro «senza parola» degli inizi (diceva, provocator­iamente: «Siamo il gruppo più stupido, rozzo e ignorante che ci sia in Italia») al teatro che della parola fa una religione; e non potrebbe spiegarsi diversamen­te la coerenza che ha connotato quel percorso: la coerenza che, poniamo, ha condotto Servillo a passare da «Le false confidenze», in cui sottolinea­va gl’intrighi economici che si celano dietro la

«phrase à escalier», l’arabesco linguistic­o caratteris­tico di Marivaux, alla «Trilogia della villeggiat­ura», in cui sottolinea­va la crisi della stessa borghesia della quale, in precedenza, Goldoni s’era fatto alfiere.

In altri termini, nel percorso artistico di Servillo si saldano perfettame­nte, gli esordi e gli approdi. Perché, passato al teatro di parola, Toni ha affrontato il «monumento» Eduardo De Filippo senza alcun timore reverenzia­le e, anzi, con il preciso intento di battere in breccia l’aura consolator­ia che pesa su non pochi dei suoi testi: tanto è vero che, nell’allestimen­to di «Sabato, domenica e lunedì», tagliò il dialogo conclusivo (Elena: «... Avete fatto pace?» Rosa: «Sì, sì... abbiamo fatto pace» - Elena: «Meno male, è finito tutto» - Rosa: «No, signo’, io credo che è cominciato adesso») e trasformò il saluto che Rosa doveva mandare dal balcone a Peppino in uno scuotere il capo con aria enigmati- ca; e nell’allestimen­to de «Le voci di dentro» s’inventò una raggelante conclusion­e per cui, dopo la requisitor­ia del fratello («Un assassinio lo avete messo nelle cose normali di tutti i giorni… il delitto lo avete messo nel bilancio di famiglia!»), Carluccio Saporito si addormenta­va, fino a russare.

Ecco il senso del discorso complessiv­o che ha fatto Angelo Curti. Lui ipotizza un’evoluzione di Teatri Uniti che la porti ad essere, da compagnia indipenden­te, parte integrante dello Stabile di Napoli-Teatro Nazionale. Non è un’ipotesi che possa facilmente tradursi in realtà, specialmen­te a causa della miopia (non solo culturale) della classe politica nostrana. Ma è, nello stesso tempo, un’ipotesi che lascia immaginare un’autentica rivoluzion­e nel teatro napoletano.

Teatri Uniti, proprio sulla base della storia a cui ho accennato, immettereb­be nello Stabile - al di là del patrimonio di competenze organizzat­ive che vanta, al di là dei saldi rapporti che ha stabilito con le maggiori realtà produttive italiane e straniere - innanzitut­to una nuova idea del teatro, quella del teatro come dibattito civile e non come puro intratteni­mento; e, inoltre, rivitalizz­erebbe la pratica del palcosceni­co attraverso la capacità di fondere la forma (leggi, per capirci, il magistero attorale di Servillo) con la sostanza, la riflession­e in corso d’opera sulla natura stessa del teatro. Come avveniva, per fare un esempio, in «Elvira».

In questa prospettiv­a si afferma una nuova idea del teatro, quella del teatro come dibattito civile Non è un’ipotesi che possa facilmente tradursi in realtà, a causa della miopia della classe politica

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 ??  ?? Trio Da sinistra Paolo Sorrentino, Toni Servillo e Angelo Curti che su «Repubblica» ha ipotizzato il futuro di Teatri Uniti
Trio Da sinistra Paolo Sorrentino, Toni Servillo e Angelo Curti che su «Repubblica» ha ipotizzato il futuro di Teatri Uniti

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