Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La ragazza del cruciverba conosciuta a bordo piscina
L’avevo conosciuta su una spiaggia dell’Egeo. Alle nostre spalle un entroterra brullo e sassoso, adatto ai balzi delle capre. Davanti al nostro villaggio-vacanze le rughe spumose in un mare, ovviamente colore del vino, sferzato dal teso meltemi di Luglio.
Lei certo, Monia: la ballerina di Degas. Il soprannome che le avevo trovato per lusingarla, e del quale lei si compiaceva fingendo, ogni volta, di schermirsi. Della danzatrice, in ogni caso, Monia possedeva il viso levigato e composto, l’assetto del corpo. E poi la muscolosità delle gambe, oltre alla flessibilità della schiena capace di trasformarsi in un arco, da filo a piombo quale sembrava normalmente.
«Io non so nuotare», proclamò non appena ci conoscemmo. Monia era beffarda con gli altri e, più nascostamente, con se stessa. «Però so fare questo».
E lì, sul bordo della piscina, si eseguì una spaccata aerea, fra l’ammirazione biliosa delle donne più grandi e l’infatuazione istantanea degli adolescenti che ruzzavano nei dintorni.
«Si chiama grand jeté», rimettendosi in asse con irrisoria facilità e lasciando come una sorta di traccia invisibile nell’aria. Grand jeté... Io avrei detto, piuttosto, la forza flessibile – e levigata anche - di una lamina d’acciaio.
Monia puntualizzò subito di non essere un’aspirante ballerina (casomai un’aspirante grecista. E i suoi occhi scuri divorarono tutta la luce attorno). Come migliaia di altre ragazze frequentava le lezioni di danza per puro e semplice diletto. Quel diletto tipicamente femminile, aggiungo, che consiste nel mordere e assaporare la sofferenza; nel testare, soddisfatte, il limite della propria resistenza al dolore. Dai suoi racconti, intorno alla piscina o camminando sulla battigia fra la spruzzaglia, potevo figurarmi quelle lezioni pomeridiane davanti ai grandi specchi a parete della palestra. Gli specchi, già: l’autentica dimensione di Monia tutta superficie, freddezza, irraggiungibilità. Le grandi pareti specchiate della palestra e quel modo di plasmare la muscolatura costringendo la libertà del movimento naturale in una disciplina capace di dare luogo ad un livello di libertà superiore.
Monia mi raccontò che la danza, dai rudimenti di classica con qualche escursione fino alla contemporanea, esauriva quasi tutto il suo tempo libero. La vita vera (e i ragazzi?) consisteva nello studio. Monia frequentava Lettere classiche e si divertiva – con in sottofondo il rombo dell’Egeo come refrain – nel mettere alle corde il mio greco liceale, oramai arrugginito come un ferrovecchio. Il meltemi le frustava, con i capelli color miele, il collo, la parte del viso in ombra. Lei era una bellezza tendente all’astratto, con poca carne. Il phisique du role ideale per quella sua passione verso le lingue morte.
In base a queste premesse, quando venni accolto nella sua camera decisamente spartana al villaggio-vacanze, mi sarei aspettato di trovare una piccola scorta di libri sparpagliata in giro. Se non dei testi d’esame – d’accordo, sarebbe inumano non staccare la spina d’estate, in Grecia – quantomeno una riserva di romanzi da ombrellone. Quei prodotti da mezza cultura, che non ti fanno divertire, ma sentire più degno grazie alla fascetta del Premio Letterario per antonomasia.
Nulla di tutto questo, invece. Né ad una prima ricognizione visiva, né alla seconda. Quando, con Monia sotto lo scroscio cantante della doccia, ebbi più tempo a disposizione per indagare. Le ante dell’unico armadio erano spalancate: nulla tranne la collezione di vestiti ciondolante sulle grucce in fil di ferro. I cassetti risultavano pieni di biancheria ripiegata e disposta con un senso dell’ordine a dir poco spaventoso. Feci anche scivolare – piano, come un ladro di appartamenti - i cassetti dei due comodini. Confezioni di antidolorifici, lo scatolino degli anticoncezionali, un pacchetto intonso di fazzolettini. L’unico materiale a stampa reperibile (Monia ogni tanto mi interpellava, temendo me la fossi svignata) consisteva nell’ultimo numero de La Settimana Enigmistica, con una biro di traverso sulle parole crociate a schema libero.
Mentirei se negassi una certa delusione. Forse, avendo idealizzato Monia, avevo finito per ingigantirne anche il reale bagaglio di interessi culturali. Tuttavia i cruciverba mi sembravano un passatempo mesto e modesto. Uno di quegli stratagemmi con cui i pensionati cercano di mantenere elastica la mente e ritardarne il deterioramento. Mi aveva mentito? Il suo curriculum di studi, snocciolato fin da subito, non era in realtà così brillante? Nei giorni a seguire, non lo nascondo, la sottoposi a delle piccole trappole nell’intento di sbugiardarla. Ne uscii scornato: la sua preparazione, per quanto mi era dato di constatare, risultava del tutto in linea con quella di un’universitaria dal solido retroterra di studi. Avrei approfondito, ma i giorni a disposizione erano pochi, la sabbia scorre più rapida che mai nella speciale clessidra dei villaggi-vacanze. E gli amorazzi estivi hanno soltanto quel colpo in canna. Una pallottola d’argento che può venire esplosa solo in quel contesto mirando, oltretutto, ad organi non vitali. Il cuore è escluso per definizione.
Da allora, sono diversi anni, Monia ed io ci siamo persi di vista. O meglio: ci saremmo persi di vista se non fossimo stati contemporanei dei social network. Di quelle due, tre piattaforme planetarie (Facebook, Instagram, Twitter) che azzerano i gradi di separazione anche quando le distanze, fisiche ed umane, sono ormai incolmabili e i destini personali divergono sempre più. Da qualche anno seguo Monia tanto su Instagram che su Facebook. Scruto la sua vita da distante, come attraverso un binocolo. Rilevo che Monia è una globe-trotter instancabile e, starei per dire, compulsiva. Da anni si è emancipata dai suoi, vive per conto proprio. Con un cane, vezzeggiato e coccolato come un bambino. Del resto quale marmocchio, oggi, ha gli occhi supplici e umidi di un cane? Chi ti sa festeggiare così quando rincasi? C’è stata gente costretta a diventare leader di partito per veder scodinzolare qualcuno come Dio comanda. Appena possibile, comunque, Monia si imbarca a bordo di un charter per mete sempre più remote e impervie. In una foto ruotava sulle braccia in cima al Machu Picchu. È sempre bella, la palestra tiene a bada i compleanni. Mi sembra, però, che il cruciverba della sua vita ruoti sempre intorno ad una parola mancante, di cinque lettere. Sbaglierò, sarà una distorsione della lontananza.