Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Dema e Delu all’Ok Corral mentre un Fico va a Montecitorio
Ieri un eletto di Napoli è tornato dopo un quarto di secolo a sedere sullo scranno più alto di Montecitorio. Una settimana fa ce l’eravamo augurato, e ora Fico c’è riuscito. Al di là delle preferenze politiche di ciascuno di noi, questa notizia ci consente al tempo stesso di salutare il nuovo presidente napoletano della Camera e di osservare con ancora più stupito distacco quello che sta accadendo alla politica napoletana. Si tratta di una storia che a raccontarla fuori da Napoli non ci si crederebbe. Dunque, un gruppo di manifestanti contro il biocidio, qualunque cosa sia, che sono arrivati a cucirsi la stella di David sul petto blasfemamente paragonandosi alle vittime della Shoah, e a quanto pare istigati dal sindaco, ha protestato ieri sotto la sede della Regione urlando «jatevenne» all’indirizzo del governatore.
Il quale, poche ore prima, aveva a sua volta detto in pubblico che il sindaco è «il più grande disastro amministrativo d’Italia», e che «concede basi ai violenti che vengono pilotati contro di me».
Si tratta dei due massimi rappresentanti del popolo campano e napoletano, uno se li immagina solidali e impegnati come un sol uomo a fare insieme le cose (non poche, per la verità) che dovrebbero e potrebbero fare per la loro terra, per i cittadini che li hanno eletti. E invece eccoli qui, a battibeccare come galli nel pollaio e a preparare le grandi manovre in vista delle elezioni regionali che si tengono tra due anni, dove il Dema vorrebbe sfidare il Delu, il primo forte del sostegno del fratello e il secondo dei figli, come in una saga del vecchio West.
In verità non ci si crede neanche a Napoli. Stiamo infatti assistendo alla personificazione di tutti i difetti e del degrado della politica nel Sud che gli osservatori denunciano da anni, sempre irrisi da chi detiene il potere, convinto che basti usarlo per prorogarlo, e dunque se ne infischia delle critiche e del malessere della gente. Ma quello che stupisce è che questo atteggiamento continui, anzi si aggravi, dopo il 4 marzo, quando cioè dovrebbe essere chiaro che le cose sono cambiate, che il giallo s’è mangiato l’arancione e pure il rosso, che le bandane sono diventate troppo logore per impersonare l’antipolitica, e d’altra parte neanche le fritture si trasformano più in voti, come nella parabola cilentana dei pani e dei pesci.
Quello dei due duellanti che ha più ferite da leccarsi, intendiamoci, è Delu. Perché, per quanto ora stia tentando con virile coraggio di separare la sua persona dal suo partito, come a dire «ho perso le elezioni solo perché sono stato troppo buono con Renzi», quest’ultimo potrebbe con ragione rispondergli che ha fatto più male al Pd nel Sud, ma anche nel Nord, l’immagine di familismo, non sappiamo quanto morale, di Delu che candida Delu jr, e poi la ripresa tv in cui si induceva l’altro Delu jr a parlare di affari che non avrebbero dovuto riguardarlo.
Ora Delu senior dice che fa l’autocritica, ma è la solita finta autocritica che si fanno di solito i politici. In genere consiste nel dichiarare di aver commesso un errore di «comunicazione», che poi vuol dire «ho fatto tutto bene ma non c’è la stata la percezione», insomma non ho fatto abbastanza propaganda, perché sapete, io sono fatto così, a queste cose non ci penso, concentrato come sono sul fare, ma la prossima volta farò ancor più propaganda.
E invece, magari, l’elettorato si è semplicemente accorto che la rimozione immediata e totale delle eco-balle promessa in campagna elettorale era un balla. E hai voglia a fare la propaganda, quando la gente ha deciso di non seguirti più, non la turlupini facilmente.
D’altra parte, se si candiderà per la Regione, il Dema lascerà anzitempo una città che sotto la sua guida ha perso abitanti, qualità del vivere, prospettive di sviluppo. E se ora si alza il solito corifeo del sindaco per dire che sì pero ha liberato il lungomare, verrebbe da rispondergli: «E in tanti anni un sindaco pensa di passare alla storia per un divieto di circolazione? Ma mi faccia il piacere».
Con un bilancio a pezzi, una violenza di strada dilagante, un sistema dei trasporti al collasso, costretta a chiedere costantemente aiuto alla Regione dell’odiato Delu e al governo (anche quello dell’odiato Renzi), l’amministrazione partenopea ha vissuto anch’essa di propaganda e di una spregiudicatezza senza pari, provando a cavalcare tutte le tensioni sociali e i movimenti estremisti per spadroneggiare in una città dove più della metà degli abitanti non è neanche andata a votare quando si è trattato di scegliere il sindaco.
Questo è lo stato della democrazia rappresentativa nella nostra regione e nella nostra città. Ecco perché, se esiste ancora una politica democratica fatta di idee, di pensiero, di collettivo, di programmi, di dialogo con l’elettorato, ci auguriamo caldamente che ci possa risparmiare una sfida di tal genere tra due anni.