Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Nel Mezzogiorno ho capito perché la sinistra ha perso
Caro direttore, mi chiedono in tanti, in questi primi giorni di ritorno a Roma, com’è stato fare la campagna elettorale, da sinistra, al Sud. Si aspettano che io racconti l’inferno. Che io dica che è stato faticoso, quasi impossibile, assediati dal Movimento Cinque stelle, che supera il 50 per cento, e minacciati perfino dalla Lega, che al Meridione prende percentuali inattese. Si aspettano che io racconti di porte in faccia e delusioni. Invece dico che è stato straordinario e che lì, tra le persone, ho capito qualcosa in più. Lì ho capito dove abbiamo perso e soprattutto cosa abbiamo perso. Io non sono stata catapultata nel collegio, come un corpo estraneo. Sono stata candidata nella mia terra. Quindi giravo i miei luoghi, le mie strade, incontravo e chiedevo il voto alle persone con cui sono cresciuta, che mi conoscono, che mi hanno visto bambina. Con loro il rapporto è stato immediato, anche franco, brutale. Ma di verità assoluta. E mi hanno detto pure che non mi votavano, in qualche caso, e perché e perché avrebbero votato Cinquestelle. C’è un desiderio profondo di comunità, al Sud, c’è un sentimento di esclusione e una voglia di riscatto, c’è il bisogno di tenere accesa una speranza. E molti hanno trovato tutto questo in quei volti giovani di candidati semplici, prelevati dai piccoli centri, da associazioni, da comitati locali, e diventati oggi improvvisamente parlamentari. Uno di noi, dicevano. Noi, invece, a sinistra, da quanto tempo abbiamo smesso di essere uno di loro? Si è letto che il voto al Sud ai Cinquestelle è nato dentro la logica assistenziale, un po’ parassitaria, legata al Reddito di cittadinanza. No, è nato dentro l’ascolto e la speranza. Le persone si sono sentite a lungo abbandonate, in questa giostra di disoccupazione, precariato, assenza di futuro, migrazione, famiglie smembrate, insicurezza economica, e hanno visto lì una strada per cambiare. Quella stessa strada che non siamo riusciti a segnare noi. Una strada, la loro, che io da sinistra considero confusa, senza progetto, con poche idee ma che intanto si è vista in modo netto, con un tratto chiarissimo di discontinuità. La crisi della sinistra non è solo italiana. Per questo sarebbe ridicola, oggi, liquidarla come una colpa di Renzi, nel Pd, o di Bersani e D’Alema o Grasso, in Liberi e uguali. È una sconfitta che si trascina da anni. Il centrosinistra perde dieci punti dal 2008 al 2013, e ne perde altri dal 2013 al 2018. La sinistra antagonista manca il quorum da dieci anni. I socialisti spariscono in tutta Europa, dalla Francia alla Spagna alla Germania. In Gran Bretagna vince la Brexit e negli Usa, Trump. È evidente che con la crisi del lavoro, è in crisi anche chi sul lavoro aveva costruito la sua presenza politica, a cominciare dal primo Novecento. La globalizzazione e le nuove tecnologie hanno cambiato profondamente la società, hanno seminato nuove paure. La sinistra non ha trovato le parole. Ha ripiegato su quelle del Novecento, pensando che valessero ancora. Invece è cambiato tutto. Io, dalla periferia del mio collegio, ho sentito questo, nella voce stanca di chi incontravo: non ci capite più, siete dall’altra parte. Siamo stati visti, perfino noi di Liberi e uguali, come pezzi dei problemi e non come parole di soluzione. Come si ricostruisce oggi una presenza politica della sinistra? Innanzitutto riscrivendo il nostro vocabolario. Non possiamo parlare di diritti sul lavoro, per esempio, pensando solo a dipendenti (magari pubblici) e pensionati. C’è un mondo vastissimo che non é né l’una né l’altra cosa, a cui i partiti non sanno dire nulla. Non possiamo parlare di diritti sociali pensando solo alle fasce estreme di marginalità o di esclusione. C’è un mondo della «quasi povertà» che ha bisogno di protezione, di sicurezza, di sostegno. Dobbiamo, su tutto, tornare tra le persone. Uscire dai ministeri, dagli uffici romani, dagli assessorati, e tornare per le strade. Dobbiamo mescolarci alla vita vera, e lì scoprire il dolore per il pane che manca, per il futuro rubato, per un figlio lontano, per una pensione del nonno che diventa sostegno di famiglia, un senso di giustizia negata che poi offusca anche la mente, e a volte porta sulle strade sbagliate. Se pensiamo che quella di sinistra sia la strada giusta, dobbiamo ricominciare a disegnarla. Oggi non si vede. E nessuno si mette su una strada che non si vede.