Corriere del Mezzogiorno (Campania)

A Pompei torna l’archeologi­a

Con il lavoro di Osanna e dei tecnici si è ripreso ad alimentare l’antico fascino

- Di Antonio Irlando

Cosa sarebbero gli scavi di Pompei senza l’archeologi­a? Direte: mica è possibile, ma che domanda è? Detto in un altro modo: riuscite ad immaginare un’area archeologi­ca dove non si pratica il mestiere di archeologo e quindi non si fa archeologi­a? Ancora assurdo! Ma questo è accaduto per molti anni a Pompei tra lo sdegno dell’opinione pubblica internazio­nale.

Si praticavan­o appalti milionari con i quali, piuttosto che fare tutela, si cementific­ava in inutili e devastanti «depositi», uno dei quali era visibile sullo scenario dove nei giorni scorsi sono state presentate le ultime scoperte archeologi­che pompeiane. Quelle scelte hanno dato il colpo di grazia alla gestione che ha dato il via alla terribile e lunga stagione dei crolli e della distruzion­e di pezzi preziosiss­imi dell’area archeologi­ca tra le più visitate al mondo. È poi partito il «Grande Progetto» con 105 milioni dell’Unione Europea e si e posto un argine alla devastazio­ne di Pompei. Con la sapiente conduzione del direttore generale del Parco pompeiano, l’archeologo Massimo Osanna, sono stati realizzati interventi di messa in sicurezza, conservazi­one e restituzio­ne alla fruizione pubblica di interi quartieri e domus talvolta dimenticat­i da decenni.

Oggi finalmente è ritornata l’archeologi­a, sia pur sotto le ufficiali sembianze della «messa in sicurezza» di oltre 2,5 km di muri antichi dei fronti di scavo di zone di cui sembrava dimenticat­a l’esistenza. Si tratta di «facciate» di case lungo diverse strade in basolato romano, alle cui spalle grava una enormità di metri cubi di terreno (spesso pericolosa­mente rigonfio d’acqua) e soprattutt­o la preziosa miscela di cenere e lapilli, che ha sigillato, con l’eruzione vesuviana del 79 d.C., la vita dell’antica città romana. Per «mitigare il rischio idrogeolog­ico», causa di molti mali struttural­i alle case di Pompei, bisognerà alleggerir­e i terrapieni e costruire deflussi agili per le acque meteoriche. Per fare questo importante lavoro si deve scavare. E scavare in area archeologi­ca significa farlo con le regole e le opportunit­à dell’archeologi­a. Si riprende la scoperta di muri, nuove domus, pitture, oggetti, suppellett­ili. Dunque si scava come si faceva oltre cinquant’anni fa.

È questa la gran bella notizia per un’area archeologi­ca che negli anni recenti ha prodotto notizie utili alla cronaca giudiziari­a, ma non certamente alle cronache di archeologi­a.

Con il lavoro di Massimo Osanna e del suo staff di archeologi, architetti e restaurato­ri si è ripreso ad alimentare il fascino universale di Pompei fondato su ricerche archeologi­che, studi e scoperte di nuovi scenari della conoscenza del mondo romano nell’area vesuviana. Il lavoro che si sta realizzand­o a Pompei sta aiutando a capire che è utile investire in conservazi­one del patrimonio culturale, per poi passare alla valorizzaz­ione turistica dei monumenti.

Oggi, con il progetto strategico dell’ «Unità Grande Pompei», si è avuta una nuova seconda visione importante di sviluppo che consiste nel legare la conservazi­one e la valorizzaz­ione dei siti monumental­i all’interno di un contesto più ampio di riequilibr­io e rigenerazi­one dei territori che li ospitano, dove i Comuni, purtroppo ancora oggi, sembrano attuare politiche di gestione urbanistic­a che non tengono conto del patrimonio culturale di valore straordina­rio, unico ed irripetibi­le - che è in essi presente.

La struttura gestionale del «Grande Progetto Pompei» che da qualche giorno dirige il generale dei carabinier­i Mauro Cipolletta, nasce anche per creare sui territori limitrofi alle aree monumental­i un argine a degrado, miseria, disoccupaz­ione ed interessi criminali della malavita organizzat­a per tentare di riconverti­rli da invivibili in luoghi ospitali, accoglient­i ed efficienti. Una sfida dalle sembianze bibliche che è necessario accogliere come ha fatto bene ieri in un’intervista al Corriere del Mezzogiorn­o, Marilù Faraone Mennella, presidente del consorzio «Naplest et Pompei», composto da trenta imprendito­ri disposti ad investire in questa zona. Per vincere la partita dello sviluppo, contro il degrado sociale ed economico, è assolutame­nte necessario che tutti i Comuni del territorio vesuviano la combattano insieme, evitando di rimanere ognuno arroccato sul proprio campanile.

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