Corriere del Mezzogiorno (Campania)
A Pompei torna l’archeologia
Con il lavoro di Osanna e dei tecnici si è ripreso ad alimentare l’antico fascino
Cosa sarebbero gli scavi di Pompei senza l’archeologia? Direte: mica è possibile, ma che domanda è? Detto in un altro modo: riuscite ad immaginare un’area archeologica dove non si pratica il mestiere di archeologo e quindi non si fa archeologia? Ancora assurdo! Ma questo è accaduto per molti anni a Pompei tra lo sdegno dell’opinione pubblica internazionale.
Si praticavano appalti milionari con i quali, piuttosto che fare tutela, si cementificava in inutili e devastanti «depositi», uno dei quali era visibile sullo scenario dove nei giorni scorsi sono state presentate le ultime scoperte archeologiche pompeiane. Quelle scelte hanno dato il colpo di grazia alla gestione che ha dato il via alla terribile e lunga stagione dei crolli e della distruzione di pezzi preziosissimi dell’area archeologica tra le più visitate al mondo. È poi partito il «Grande Progetto» con 105 milioni dell’Unione Europea e si e posto un argine alla devastazione di Pompei. Con la sapiente conduzione del direttore generale del Parco pompeiano, l’archeologo Massimo Osanna, sono stati realizzati interventi di messa in sicurezza, conservazione e restituzione alla fruizione pubblica di interi quartieri e domus talvolta dimenticati da decenni.
Oggi finalmente è ritornata l’archeologia, sia pur sotto le ufficiali sembianze della «messa in sicurezza» di oltre 2,5 km di muri antichi dei fronti di scavo di zone di cui sembrava dimenticata l’esistenza. Si tratta di «facciate» di case lungo diverse strade in basolato romano, alle cui spalle grava una enormità di metri cubi di terreno (spesso pericolosamente rigonfio d’acqua) e soprattutto la preziosa miscela di cenere e lapilli, che ha sigillato, con l’eruzione vesuviana del 79 d.C., la vita dell’antica città romana. Per «mitigare il rischio idrogeologico», causa di molti mali strutturali alle case di Pompei, bisognerà alleggerire i terrapieni e costruire deflussi agili per le acque meteoriche. Per fare questo importante lavoro si deve scavare. E scavare in area archeologica significa farlo con le regole e le opportunità dell’archeologia. Si riprende la scoperta di muri, nuove domus, pitture, oggetti, suppellettili. Dunque si scava come si faceva oltre cinquant’anni fa.
È questa la gran bella notizia per un’area archeologica che negli anni recenti ha prodotto notizie utili alla cronaca giudiziaria, ma non certamente alle cronache di archeologia.
Con il lavoro di Massimo Osanna e del suo staff di archeologi, architetti e restauratori si è ripreso ad alimentare il fascino universale di Pompei fondato su ricerche archeologiche, studi e scoperte di nuovi scenari della conoscenza del mondo romano nell’area vesuviana. Il lavoro che si sta realizzando a Pompei sta aiutando a capire che è utile investire in conservazione del patrimonio culturale, per poi passare alla valorizzazione turistica dei monumenti.
Oggi, con il progetto strategico dell’ «Unità Grande Pompei», si è avuta una nuova seconda visione importante di sviluppo che consiste nel legare la conservazione e la valorizzazione dei siti monumentali all’interno di un contesto più ampio di riequilibrio e rigenerazione dei territori che li ospitano, dove i Comuni, purtroppo ancora oggi, sembrano attuare politiche di gestione urbanistica che non tengono conto del patrimonio culturale di valore straordinario, unico ed irripetibile - che è in essi presente.
La struttura gestionale del «Grande Progetto Pompei» che da qualche giorno dirige il generale dei carabinieri Mauro Cipolletta, nasce anche per creare sui territori limitrofi alle aree monumentali un argine a degrado, miseria, disoccupazione ed interessi criminali della malavita organizzata per tentare di riconvertirli da invivibili in luoghi ospitali, accoglienti ed efficienti. Una sfida dalle sembianze bibliche che è necessario accogliere come ha fatto bene ieri in un’intervista al Corriere del Mezzogiorno, Marilù Faraone Mennella, presidente del consorzio «Naplest et Pompei», composto da trenta imprenditori disposti ad investire in questa zona. Per vincere la partita dello sviluppo, contro il degrado sociale ed economico, è assolutamente necessario che tutti i Comuni del territorio vesuviano la combattano insieme, evitando di rimanere ognuno arroccato sul proprio campanile.