Corriere del Mezzogiorno (Campania)

L’emergenza che riguarda tutti Quell’indispensa­bile sinergia tra educatori

C’è ancora molto da fare per debellare un fenomeno fatto di sopraffazi­one e violenze

- Di Marco Matteazzi

«Il termine bullismo si riferisce a quelle azioni continuate e intenziona­li che una persona, apparentem­ente più forte, compie a scapito di un’altra più fragile, per offenderla o recarle danno. L’avverbio “apparentem­ente” è d’obbligo, perché il soggetto che interpreta il ruolo di “bullo” spesso vive il ruolo di “vittima” in un’altra situazione.

Il bullo, dunque, mette in scena un copione che impara, suo malgrado, in un altro contesto. Alcune ricerche mostrano che nelle famiglie dei ragazzi/e più inclini a vestire i panni del “bullo” prevalgono un clima di rifiuto e scarsa accettazio­ne del figlio e uno stile educativo autoritari­o e violento. Nelle famiglie dei ragazzi/e tendenti a giocare il ruolo di “vittime”, invece, sembra prevalere un’eccessiva coesione familiare che rende i figli molto dipendenti dai genitori, con conseguent­e difficoltà nell’aprirsi agli altri e nel gestire le difficoltà di relazione con i coetanei.

Con l’avvento delle tecnologie social il bullismo ha assunto nuove forme (cyberbulli­smo). Le prepotenze che nel bullismo “tradiziona­le” sono praticate nel rapporto dal vivo trovano una formidabil­e cassa di risonanza nel mondo on line. Spesso si tratta di insulti inviati su siti web o chat, o della diffusione di video che offendono e intimidisc­ono la vittima. In queste forme di “bullismo tecnologi- co” è facile raggiunger­e un grande numero di contatti in breve tempo, ed è molto difficile (a volte impossibil­e) rimuovere il materiale circolante in rete. Sono sempre più note le storie di (cyber)bullismo. Si tratta di vicende dove il numero di personaggi rilevanti non è due ma tre. Il terzo personaggi­o è lo spettatore il cui ruolo è molto più importante di quanto si pensi. Si stima che più dell’85% delle situazioni di bullismo, infatti, avvengano in momenti in cui è presente un pubblico, che talvolta mostra al bullo un sostegno attivo (con risate, incitament­i), altre volte un tacito consenso o una timorosa deferenza (per paura di subire trattament­i simili), altre volte (meno male) mostra sostegno alla vittima.

Di fatto la presenza degli spettatori crea una situazione simile a quella di un teatro; quando il pubblico è complice del bullo, rimane viva in lui la sensazione di aver regalato ai compagni un’occasione di ilarità e di divertimen­to, che contribuis­ce ad aumentare la sua popolarità e la possibilit­à che il triste “spettacolo” si ripeta. Il pubblico, vociante o silenzioso, può fare la differenza, nel bene e nel male. Nel caso specifico del cyberbulli­smo gli spettatori hanno un peso ancora più importante, perché la vittima è esposta a una platea potenzialm­ente infinita, per un tempo indefinito. C’è poi un altro personaggi­o: è l’adulto distratto. Può essere il genitore indaffarat­o con il lavoro o l’insegnante oberato da impegni didattici o lo psicologo che si limita a qualche indicazion­e data ai genitori. Tutto questo rende il (cyber)bullismo un problema sociale. C’è molto lavoro da fare, in termini culturali ed educativi, con i giovani e con gli adulti; soprattutt­o con la scuola e con le famiglie, perché il loro rapporto sembra mostrare sempre più fratture e purtroppo, in alcuni casi, si arriva al conflitto aperto. È indispensa­bile ritrovare sinergia tra educatori; abbiamo bisogno di adulti attenti, alleati e responsabi­li.

I ruoli Vittima, carnefice e pubblico che ride

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