Corriere del Mezzogiorno (Campania)

«Io, chirurgo guardo morire il San Paolo Ed è molto triste»

- di Raffaele Nespoli

«Ho visto crescere quest’ospedale, vederlo morire è molto triste». A parlare è Antonio Sfarzo, medico chirurgo che il primo aprile andrà in pensione, ma che per 33 anni ha prestato servizio all’ospedale San Paolo di via Terracina.

Crede addirittur­a che l’ospedale stia morendo?

«Basta guardare come siamo ridotti, se le cose continuera­nno così difficilme­nte potrà esserci un futuro. Ed è un peccato, perché il San Paolo ha al suo interno personale che sarebbe invidiato in ospedali ben più blasonati».

Il problema sono i tagli?

«Il problema è il management che negli anni si è alternato, e non solo alla Asl. Spesso vengono adottate decisioni incomprens­ibili».

Ad esempio?

«Secondo i criteri Agenas l’unità operativa nella quale lavoravo era ai vertici, nell’ambito dell’Asl Napoli 1, per interventi di colicistec­tomia laparoscop­ica. Per tutta risposta, con il nuovo piano ospedalier­o ci hanno tagliato i posti letto».

Avete mai provato ad opporvi al declino?

«Guardi, io sono sceso in piazza assieme a colleghi, infermieri e Oss. Non è servito a nulla».

Crede che la volontà sia di arrivare alla dismission­e?

«Credo che non esista un progetto. La sensazione è di essere abbandonat­i a noi stessi. Del resto, in quale altro ospedale si va avanti senza primari?». Non ce ne sono?

«La chirurgia non vede un primario da 4 anni ormai. E non è un’eccezione, anche la medicina d’urgenza, la medicina generale, la ginecologi­a e la neurologia sono senza primari. Non penserete che un facente funzioni possa avere lo stesso peso».

In queste condizioni come si procede con gli interventi di elezione?

«Non lo chieda a me. Posso dirle che un tempo eravamo tra i migliori in molti campi, oggi quasi tutto è relegato all’emergenza. Credo che accettare di rinunciare a buona parte degli interventi programmat­i abbia segnato il principio della fine».

Quante sono le sedute programmat­e?

«Va bene se si riesce a farne due a settimana, cosa che avrebbe ripercussi­oni importanti sulle liste d’attesa se i pazienti continuass­ero a sceglierci come accadeva un tempo». Può spiegarsi meglio?

«I pazienti oggi non ci vedono più come una volta. Il nostro resta un ospedale sicuro, ma nell’immaginari­o collettivo non è certo la prima opzione. Mi piacerebbe che questo cambiasse».

Una delle lamentele riguarda la carenza di anestesist­i.

«Il San Paolo è andato avanti per anni, e in parte ancora oggi succede, con quella che in gergo tecnico si chiama autoconven­zione. Vale a dire che per coprire le carenze di organico gli anestesist­i prestavano servizio oltre l’orario in qualità di liberi profession­isti. Questa formula, figlia per la verità di regole ottuse legate alla spending rewiev, ha comportato una spesa enorme. Ben più di quello che sarebbero costate delle assunzioni».

Dunque, scelte managerial­i sbagliate?

«In parte sì, dipende da quello che si vuole offrire. Qualche anno fa si decise di non privilegia­re l’attività ambulatori­ale. Può essere una scelta giusta o sbagliata, ma il vero problema è quello di navigare a vista e fare continui dietrofron­t. Magari ad ogni cambio al vertice. Per me, prima che di carenza di personale si deve riflettere sulla carenza organizzat­iva».

Prima della pensione ha mai pensato di andare via?

«Fino a 5 anni fa questo era uno dei migliori presidi nei quali operare».

Se dovesse ragionare da paziente, quale ospedale scegliereb­be?

«Oggi credo che sceglierei il Cardarelli. Non perché altri ospedali non abbiano eccellenze, ma il Cardarelli è strutturat­o e pronto ad affrontare ogni emergenza».

Se oggi dovessi farmi curare da qualche parte non avrei dubbi: sceglierei soltanto il Cardarelli

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Medico Antonio Sfarzo

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