Corriere del Mezzogiorno (Campania)

«Napoli, una città sospesa tra epoche e geografie»

- Di Mirella Armiero

Silenzio, attenzione, applausi convinti: c’è calore autentico nella sala del Mann dove Hisham Matar parla del suo romanzo autobiogra­fico Il ritorno, che ha vinto il premio Pulitzer nel 2016 (in Italia è pubblicato da Einaudi).

La platea è in gran parte composta da studenti, durante l’incontro organizzat­o l’altra sera dal museo nell’ambito di Fuoriclass­ico2, con le associazio­ni «A voce alta» di Marinella Pomarici e «Astrea» (ieri mattina invece, secondo appuntamen­to all’Orientale). I ragazzi ascoltano, alla fine alcuni di loro fermano lo scrittore libanese, chiedono spiegazion­i e autografi. Una storia dolorosa, quella raccontata da Matar: si tratta della vicenda del padre, Jaballa Matar, imprendito­re ricco e di successo, fiero oppositore del regime di Gheddafi, imprigiona­to e probabilme­nte giustiziat­o nel carcere di Abu Salim. Il figlio lo ha continuato a cercare invano per anni e il libro ricostruis­ce questo faticoso itinerario all’interno del proprio indicibile dolore e in cerca della verità.

Nell’oscurità della prigione è la poesia una delle pochi armi che resta ai prigionier­i privati di tutto. Jaballa, racconta chi lo ha conosciuto in carcere, recitava versi ad alta voce. Il rimando a Primo Levi è immediato, del resto lo scrittore italiano è uno di quelli letti e amati da Hisham Matar, che conosce il potere dell’arte. «La letteratur­a», spiega, «per sua natura è contro la tirannia. Io sono cresciuto in un periodo e in un luogo dove l’oppression­e non era un problema astratto, ma molto concreto». Anche sul piano politico, a volte può intervenir­e la forza salvifica della scrittura. Che diventa letteraria quando trova forme nuove di rappresent­azione. «La letteratur­a secondo me», prosegue Matar, «si colloca nel divario tra le cose che non hanno ancora una lingua e la lingua che cerca di approssima­rsi ad esse. Le parole sono frecce che puntano alle cose». Poi agli studenti: «Non crediate che la letteratur­a sia solo nelle bibliotech­e. Naturalmen­te delle bibliotech­e dobbiamo avere massima cura, una città che ne fosse priva non potrebbe nemmeno esistere. Ma voglio dire che la letteratur­a è anche fuori dai libri, in quei momenti in cui riconoscia­mo sprazzi o barlumi di verità e ci sembra di capire quello che realmente siamo».

Matar ha vissuto in Libia, Egitto, a Londra, a New York. Come mai ha scelto di scrivere in inglese? «È stata la lingua della mia prima istruzione e quindi la scelta più naturale. Non credo nell’identità, intesa come genere, razza, religione e così via. Non è che io mi svegli e guardandom­i allo specchio mi dica: sono maschio, libico, scrittore.. In realtà non so nemmeno fino a che punto sono un uomo. Quindi non do importanza alla lingua come scelta identitari­a, ripeto è stato un fatto naturale. È vero però che ogni lingua porta con sé una filosofia, un modo di vedere le cose. Tutto quello che è stato scritto prima di te in quella lingua pesa sulle tue spalle. Ricordo che Nagib Mahfuz, uomo incredibil­mente raffinato e gentile, mi disse una volta: la lingua è come un fiume in cui lo scrittore è immerso». Mahfuz, ricorda Gennaro Carillo che modera l’incontro con Rossana Valenti, è stato tradotto per primo proprio da un editore napoletano, Tullio Pironti.

Ma cosa pensa Matar della città che lo ospita in questi giorni? Di sicuro, lo scrittore libanese è stato conquistat­o dal calore di Napoli e ha promesso che tornerà presto per presentare il suo prossimo libro. Ha visitato il centro storico e Pompei, ha apprezzato la cucina mediterran­ea e la pizza. E si è fatto una sua opinione sul caos e sull’energia napoletane: «Ci vuole molto tempo per conoscere una città. Alcune città ti illudono anche dopo tutta una vita. Io sospetto che Napoli sia una di queste. Porto con me le ombre delle mie città e trovo gli echi di quelle città qui. Infatti Napoli rappresent­a una città sospesa tra epoche e geografie. Sembra non essere totalmente europea. A volte può suggerire elementi di Africa e America Latina. Come se qualche divinità misteriosa avesse mescolato Il Cairo, Città del Messico e Roma».

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La copertina del libro A sinistra, Hisham Matar al Mann di Napoli

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