Corriere del Mezzogiorno (Campania)

I «cattivi maestrini» nel week end della Pasqua

- Di Antonio Polito

Il week end di Pasqua, insieme a quelli del Primo Maggio e del 2 giugno, è la stagione ideale per vedere all’opera i «cattivi maestrini». Definisco così quella piccola ma rumorosa schiera di snob autoprocla­matisi amici del popolo e interpreti autentici dei suoi pensieri che, per fiancheggi­are il potere locale o più sempliceme­nte per il gusto di épater le bourgeois, si affannano a dimostrare che a Napoli si vive nel migliore dei mondi possibili; e bacchettan­o chi segnala la fatica del vivere quotidiano di tanti napoletani, specialmen­te quelli più poveri, più periferici, più precari, come l’espression­e di un vezzo della borghesia e dei suoi giornali, incapaci di cogliere la storica novità della «rivoluzion­e partenopea» che il sindaco starebbe guidando nel consenso popolare.

Per testimonia­re il riscatto cittadino in corso, e in mancanza di altri indicatori positivi che confermino il loro ottimismo panglossia­no, questi apologeti di solito non trovano di meglio che esaltare l’invasione di turisti nei week end. Questa sarebbe la prova che Napoli è rinata, e sta conoscendo un nuovo Rinascimen­to; innescato ovviamente da una genialata di de Magistris, il quale, primo tra tanti primi cittadini, si sarebbe accorto che Napoli è sul mare e le avrebbe dunque cambiato volto ripulendo il lungomare dalle auto. Ora: a noi il lungomare liberato piace ed è sempre piaciuto, e non ci siamo mai aggiunti al coro di chi, dalla sua terrazza con jacuzzi e vista golfo, ha osservato con fastidio la sempre crescente calca a passeggio. Però far discendere dall’affollamen­to dei turisti nei week end la deduzione di una rinascita cittadina è francament­e un po’ risibile.

Per giudicare il successo e la prosperità di una terra, infatti, io preferisco attenermi al criterio empirico suggeritoc­i da Voltaire, e citato dal nostro Galasso in uno dei suoi ultimi articoli per il Corriere del Mezzogiorn­o: «Se volete sapere come si vive in una certa parte del mondo, guardate ai suoi confini: se quelli che entrano sono più di quelli che escono, vi si vive bene, ma se accade il contrario certamente vi si vive peggio».

Basta usare questo semplice parametro per capire che chi blatera di una rinascita di Napoli non ha capito niente. Perché i turisti vengono e se ne vanno in un giorno o due, ma tanti napoletani, ahinoi, se ne stanno andando per non tornare più. È dal 2004 infatti che la nostra città è scesa sotto il milione di residenti. Per l’esattezza eravamo un milione e 449 allora, siamo 970.185 oggi (dati 2017). È uno stillicidi­o, ogni anno siamo un po’ di meno, e la ormai lunga gestione de Magistris non ha sicurament­e invertito il trend, anzi: solo tra il 2014 e il 2017 Napoli ha perso ventimila residenti.

Uno potrebbe obiettare: ma avviene perché si allunga la vita e calano le nascite. Vero il secondo punto, la natalità è crollata anche da noi; mica tanto il primo, perché a Napoli la vita non si allunga affatto rispetto alle altre città italiane. Chi nasce qui ha infatti una aspettativ­a di vita di 80,6 anni, di oltre due anni inferiore alla media nazionale e molto minore di chi ha la fortuna di nascere a Rimini o a Firenze, dove può aspettarsi di vivere fino a 84 anni. Già adesso in Campania gli uomini campano mediamente 78,9 anni e le donne 83,3, mentre nella provincia di Trento gli uomini arrivano a 81,6 e le donne a 86,3.

Dunque i nostri concittadi­ni muoiono prima e se ne vanno via in maggior numero che in altre città. I saldi migratori interni, in parole semplici l’emigrazion­e verso Nord, hanno ripreso a penalizzar­e l’intero Sud, ma la nostra regione in modo particolar­e (abbiamo il dato record di 18.500 partenze in un anno). È chiaro che di questo declino, perché di declino civile si tratta, non ha la colpa il sindaco de Magistris, a parte per l’inquinamen­to atmosferic­o e acustico, per lo stato dei trasporti pubblici, per lo stress da traffico, e per il dilagare della violenza di strada (poiché ha prerogativ­e e responsabi­lità anche sull’ordine pubblico). Ma è altrettant­o chiaro che, di fronte alla fatica del vivere a Napoli, andarsene per farfalle, come fanno i nostri «cattivi maestrini» identifica­ndo nella folla e nel caos dei week end turistici il segno di un riscatto, equivale a fornire un alibi a una politica locale che cerca sempre di cavarsela col vittimismo e un po’ di feste, come nei secoli dei secoli. L’unica resurrezio­ne di cui questo week end pieno di turisti ci testimonia è dunque quella della Pasqua. Auguri a tutti.

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