Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Sì, tanti progetti insieme e un dono: essere Napoli»
NAPOLI «In realtà ci stavamo lavorando insieme. Luigi, col suo spirito giovanile e immortale, continuava a fare progetti. Uno di questi era quello di portare alla luce e alla conoscenza il teatro di Peppino. Avevamo cominciato a immaginare un viaggio». Enzo Decaro, idealmente per ora, raccoglie il testimone lasciatogli tra le mani dall’ultimo della «razza» De Filippo, così la chiama quella stirpe impareggiabile di attori e drammaturghi. Riprende il filo: «Ovviamente, per vari motivi, la drammaturgia di Peppino era un po’ offuscata da quella di Eduardo. Ho sempre pensato che fosse sbagliato paragonarli. Eduardo e Peppino si erano abbeverati dalla stessa fonte, ma avevano preso due strade diverse. L’approfondimento e lo scavo il primo, la leggerezza, che non è mai superficialità, il secondo. Differenti chiavi di lettura ma tematiche analoghe».
Al papà Peppino, Luigi aveva intestato il teatro Parioli. «Per Luigi la vita da figlio non è stata certo una passeggiata — continua l’attore napoletano —. Ha avuto una vita artistica lunga, tanto lunga per potersi riconciliare con il padre. Non è un caso che il suo teatro si chiama Peppino De Filippo. Ma per anni era stato lontano da quel faro. Comprensibilmente». Dalla Smorfia alle fiction popolari. Ma soprattutto tanto teatro anche per Decaro. Com’era Luigi nel privato? «Eravamo profondamente amici. Di lui ricorderò sempre la grande serietà. La serietà di una persona perbene. Di un grande teatrante. È stato formidabile che abbia scelto come congedo un’opera di Eduardo, Natale in casa Cupiello. Pur nelle differenti esperienze, è stato il riconoscimento del ceppo, della razza. Un atto di grande intelligenza».
D’altronde Luigi per quanto
” Avevamo cominciato un viaggio: far conoscere il teatro di Peppino
fossero ingombranti quei tre fratelli era cresciuto nel solco di una tradizione familiare quanto universale di cui parlava in questi termini: «Credo che i De Filippo, con Scarpetta, Pirandello e Viviani siano stati i personaggi più significativi del teatro del Novecento. Eduardo, Peppino e Titina poi, erano un vero miracolo: in scena le tre facce, drammatica, comica e grottesca, di uno stesso, straordinario attore».
«Aveva ragione — continua l’amico Decaro —. La fortuna è che siano stati anche drammaturghi e che drammaturghi. Ma lo stesso Eduardo attore ha dovuto avere la pazienza che gli fosse riconosciuta la sua grandezza di scrittore per il teatro». Luigi era l’ultimo di una dinastia. Che vuoto lascia? «Un vuoto fisico. Ma il patrimonio dei De Filippo è davvero universale. Anche perché aveva una caratteristica». Quale? «L’artigianalità. Il teatro si fa materialmente, ci si sporca le mani. Loro, in questo, tutti loro, sono stati degli artigiani, fare cose complesse con semplicità. E poi hanno lasciato un dono a questa città: essere Napoli, non fare Napoli».