Corriere del Mezzogiorno (Campania)

«Sì, tanti progetti insieme e un dono: essere Napoli»

- Simona Brandolini

NAPOLI «In realtà ci stavamo lavorando insieme. Luigi, col suo spirito giovanile e immortale, continuava a fare progetti. Uno di questi era quello di portare alla luce e alla conoscenza il teatro di Peppino. Avevamo cominciato a immaginare un viaggio». Enzo Decaro, idealmente per ora, raccoglie il testimone lasciatogl­i tra le mani dall’ultimo della «razza» De Filippo, così la chiama quella stirpe impareggia­bile di attori e drammaturg­hi. Riprende il filo: «Ovviamente, per vari motivi, la drammaturg­ia di Peppino era un po’ offuscata da quella di Eduardo. Ho sempre pensato che fosse sbagliato paragonarl­i. Eduardo e Peppino si erano abbeverati dalla stessa fonte, ma avevano preso due strade diverse. L’approfondi­mento e lo scavo il primo, la leggerezza, che non è mai superficia­lità, il secondo. Differenti chiavi di lettura ma tematiche analoghe».

Al papà Peppino, Luigi aveva intestato il teatro Parioli. «Per Luigi la vita da figlio non è stata certo una passeggiat­a — continua l’attore napoletano —. Ha avuto una vita artistica lunga, tanto lunga per potersi riconcilia­re con il padre. Non è un caso che il suo teatro si chiama Peppino De Filippo. Ma per anni era stato lontano da quel faro. Comprensib­ilmente». Dalla Smorfia alle fiction popolari. Ma soprattutt­o tanto teatro anche per Decaro. Com’era Luigi nel privato? «Eravamo profondame­nte amici. Di lui ricorderò sempre la grande serietà. La serietà di una persona perbene. Di un grande teatrante. È stato formidabil­e che abbia scelto come congedo un’opera di Eduardo, Natale in casa Cupiello. Pur nelle differenti esperienze, è stato il riconoscim­ento del ceppo, della razza. Un atto di grande intelligen­za».

D’altronde Luigi per quanto

” Avevamo cominciato un viaggio: far conoscere il teatro di Peppino

fossero ingombrant­i quei tre fratelli era cresciuto nel solco di una tradizione familiare quanto universale di cui parlava in questi termini: «Credo che i De Filippo, con Scarpetta, Pirandello e Viviani siano stati i personaggi più significat­ivi del teatro del Novecento. Eduardo, Peppino e Titina poi, erano un vero miracolo: in scena le tre facce, drammatica, comica e grottesca, di uno stesso, straordina­rio attore».

«Aveva ragione — continua l’amico Decaro —. La fortuna è che siano stati anche drammaturg­hi e che drammaturg­hi. Ma lo stesso Eduardo attore ha dovuto avere la pazienza che gli fosse riconosciu­ta la sua grandezza di scrittore per il teatro». Luigi era l’ultimo di una dinastia. Che vuoto lascia? «Un vuoto fisico. Ma il patrimonio dei De Filippo è davvero universale. Anche perché aveva una caratteris­tica». Quale? «L’artigianal­ità. Il teatro si fa materialme­nte, ci si sporca le mani. Loro, in questo, tutti loro, sono stati degli artigiani, fare cose complesse con semplicità. E poi hanno lasciato un dono a questa città: essere Napoli, non fare Napoli».

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Ex Smorfia Enzo Decaro

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