Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Cari Peppino, Eduardo e Titina...
Carissimi Peppino, Eduardo e Titina... Così vi chiama ancora la gente di Napoli. Vi chiama per nome. E questo è il segnale che non vi hanno dimenticato, che vi stimano e vi ricordano sempre. Premesso che io sono favorevole ad ogni forma di teatro che sia d’avanguardia, di ricerca, gestuale o come diavolo voglia definirsi purché porti al bene e alla diffusione del teatro, voglio ribadire la mia preferenza e la mia fede nel teatro di grande tradizione. Petito, Scarpetta, Viviani, i De Filippo e con la loro commedia dell’arte e Napoli con la sua quotidiana commedia umana sono sempre stati i miei principali punti di riferimento quando recito e quando scrivo le mie commedie. Il teatro italiano in genere attraversa un momento poco felice per tanti motivi... Ed è giusto che i giovani cerchino nuove vie e nuove ispirazioni per manifestarsi e portare nuova linfa a quest’arte. Ma non bisogna dimenticare la tradizione, specialmente quella napoletana. Poiché la tradizione (intendo la bella napoletanità, non la semplice oleografia) è il trampolino che ci darà la spinta per cercare nuove strade. Il teatro non è e non deve essere considerato un museo. È invece qualcosa di vivo e stimolante che si rinnova ogni giorno come il cuore dell’artista. Quindi, per coerenza con le mie preferenze, nella mia carriera non mi stanco mai di recitare opere come Non ti pago! (...). Quando tu (Eduardo ndr) scrivesti questa commedia, creando il personaggio impagabile di Don Ferdinando Quagliulo, testardo paradossale, genialmente contraddittorio, quasi pirandelliano nella sua lucida follia, divertisti non solo il pubblico ma anche tutti noi di famiglia. Perché in un certo senso, in quegli anni, quel personaggio eri tu. E noi che ti conoscevamo bene ridevamo...
(da «Un cuore in palcoscenico»,
Mursia, 2010)