Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Il viaggio infinito di Victoria: dal barcone alla casa di Tonia Ora è in cerca di suo marito
La giovane madre nigeriana accudita nella struttura Le volontarie: «Speriamo in un miracolo pasquale»
Quando entra nella stanza delle educatrici non sa di essere attesa da un estraneo: il cronista. E istintivamente si ritrae perché, dopo aver tanto sofferto, ha paura di tutto quanto è novità: che vuole questo qui, sembra dire. E’ una ragazza nigeriana, venti anni o poco più, capelli ramati, ricci come una rete di pesca ingarbugliata, e un pullover rosso fuoco, come il rossetto, che esalta la sua bellezza. Le operatrici ci dicono che ha alle spalle esperienze che segnano, culminate dal parto vissuto in piedi poche ore dopo essere sbarcata da una di quelle maledette carrette del mare. Per paura che le facessero del male rifiutò la barella non curandosi del fatto che i dolori fossero diventati insopportabili.
Oggi le cose vanno decisamente meglio, ma la paura non è passata. E poi c’è la solitudine che il figlio di pochi mesi colma solo in parte: Victoria – il nome è decisamente di fantasia – vive nell’attesa di ricongiungersi al marito che non può vedere perché è ospite di una comunità maschile. Quando avverrà? I suoi occhi tristi chiedono una risposta, ma nessuno è in grado di darla. «Noi vorremmo aiutare lei e tutte le altre ragazze come lei, dice Maria Esposito coordinatrice della Casa di Tonia, la struttura nei pressi della Facoltà di Veterinaria concessa al cardinale Sepe dal Pio Monte della Misericordia, ma queste pratiche, si sa, prendono molto tempo. Non ci sono scorciatoie».
E’ una storia già scritta mille e mille volte, ma chi la subisce, come Victoria, non ce la fa a sopportarla. Per questo è visibilmente sorpresa dalla presenza del cronista, forse ha paura che qualcosa venga a turbare l’equilibrio, sia pure precario, in qualche modo raggiunto dopo quel viaggio drammatico sul barcone. Dall’inferno ad un altro inferno. Inseguendo un futuro migliore. Che ancora non intravede. L’unico modo per difendersi, allora, è scomparire in fretta ed è quello che Victoria fa. Poggia un medicinale sul tavolo ed esce dalla stanza dopo aver risposto a bassa voce alla domanda di Maria, una delle educatrici, che si informava sulla sua salute: «Sì, sto bene», ma è visibilmente una bugia: quella ragazza, come le altre quattro ospiti napoletane e africane, nasconde un segreto. Che non svelerà mai.
Chiediamo se è possibile parlare con lei, ma il rifiuto è categorico. E comprensibile. Victoria è giovanissima, la guardiamo ancora prima che scompaia e ci chiediamo: quante vite ha vissuto? Nessuno sa niente di lei, l’unica cer- tezza è il pianto del bambino che ha lasciato nella stanza a fianco.
La casa di Tonia è, per i napoletani del ventre antico della città abituati a personalizzare ogni situazione, è «’a casa d’o Cardinale». La chiamano tutti così e ci sta perché è stato Crescenzio Sepe a volerla otto anni fa. Dandole il nome di una madre – Tonia Accardo – che sacrificò la sua vita per salvare quella della sua bambina. Per tirarla su e sostenerla la Curia mise in campo una Fondazione – In nome della vita – che continua ad essere la fonte principale di sostentamento. Insieme agli aiuti garantiti dai privati: le fondazioni Grimaldi e Rava sono in prima fila, insieme a marchi di caffè e di olio. Marco Salvatore, poi, offre un contributo prezioso: ecografie, controlli e visite gratuite. All’elenco manca solo il Comune che, al contrario dovrebbe essere in prima linea, perché è l’Ente che sovrintende a tutte le esigenze delle ospiti. «E’ vero che è presente - dice Luca Trapanese direttore di questa e di altre strutture, come “Oltre la vita”, alle quali si dedica con zelo e competenza – ma da tre anni non paga. Vantiamo crediti per circa cinquecentomila euro, a Palazzo San Giacomo ne sono consapevoli, ma si giustificano dicendo che le casse sono vuote. Non viviamo giorni tranquilli, insomma». Si vive alla giornata, ma si vive ed è quello che conta. Anche perché è nata una solidarietà molto forte tra le ospiti napoletane e quelle straniere. «Qui dobbiamo per forza volerci bene tutte, confessa una giovane mamma di Barra – e aiutarci non ci costa fatica».
Vale per tutti ma non per Victoria: il suo mondo è ancora e solo quello della cameretta nella quale vive con il suo bambino. In attesa di ricomporre la famiglia. Solo allora scenderà da quel maledetto barcone. Che, per ora, le ha fatto scoprire un mondo orco come quello dal quale è fuggita.
Solidarietà Qui dentro ci aiutiamo una con l’altra, noi mamme che abbiamo tanti problemi dobbiamo per forza stringerci e volerci bene