Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Il migliore Piedirosso è firmato da La Sibilla
Non amo particolarmente i Piedirosso in purezza. Non certamente quelli, troppo corpulenti, del Beneventano. L’omonima uva va invece utilizzata con successo in tandem con l’aglianico per il Falerno del Massico, per i rossi della Costa d’Amalfi e come pilastro fondamentale del Gragnano e del Lettere. Eccezioni positive nei Campi flegrei, dove peraltro la vite è ancora coltivata a piede franco. Tra i migliori, se non il migliore assaggiato ultimamente, quello de La Sibilla, l’azienda, che rappresenta probabilmente la realtà qualitativamente più significativa della doc. Viene ottenuto dalle uve allevate nei vigneti, di età compresa tra i 15 e i 30 anni, impiantati all’interno del parco archeologico di Baia. Il vino dell’annata in commercio (2016), il successore non uscirà prima di un paio di mesi, è davvero esemplare. Mi ha convinto subito. E non esito ad inserirlo nella mia ideale top ten dei vini campani del millesimo. Il colore, rubino con evidenti e marcate sottolineature violacee, ne rivelano la giovane età. La consistenza ricorda quella di un vino di importanza superiore. Si apprezza in particolare per il profilo olfattivo, ricco e originale. Si colgono sentori do sorba matura, di carruba, del prezioso sciroppo di tamarindo che odora d’antico. Si caratterizza per l’elegante speziatura, si identificano piacevoli note di anice stellato, di caffè appena macinato e di pellame. Il vino passa all’esame gustativo che supera a pieni voti. Ingresso morbido, si distende senza incertezze, viene mantenuto vivo dalla sostenuta acidità e da un’impalcatura tannica non ingombrante. Convince anche per la persistenza. Un vino di grande coerenza ed armonia. Prima dell’inevitabile discesa lo aspettano 4-5 anni di un’evoluzione tutta da godere. Speciale sui primi con sughi di carne, ma anche su pollo, coniglio, salumi e formaggi di media stagionatura. Non stona sulla cernia (o dotto) al forno con patate.