Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Tra gli stranieri di Monte Sant’Angelo I «cervelli in arrivo» nel dottorato di Fisica
Indiani, iraniani, africani: giovani scienziati scelgono di specializzarsi a Napoli
Indossare il turbante non aiuta, in certi casi. A Manjot Singh, 27 anni, di Mumbay, è capitato di sentirsi apostrofare per le strade di Napoli con un grido metà ironico metà allarmato: «Isis, Isis...». E dire che non è nemmeno musulmano, la sua religione è sikh, lui è praticante e porta il tipico copricapo del suo credo, così come la sua collega Jasneet Kaur, 32 anni, di Nuova Delhi.
Manjot e Jasneet sono due «cervelli in arrivo». Studiano fisica, uno sta conseguendo il phd e l’altra un post dottorato, entrambi al Dipartimento di Fisica della Federico II di Napoli, dove la «legione straniera» (come la chiamano scherzosamente) è assai nutrita. Merito di una serie di scambi interuniversitari e soprattutto merito del dottorato di ricerca in Fisica, coordinato da Salvatore Capozziello, che è — dati alla mano — una delle eccellenze dell’ateneo. Capace di attirare studenti dall’estero e da molti paesi extraeuropei. «Ci siamo mossi per promuovere l’internazionalizzazione», spiega Capozziello, «già una decina di anni fa, sia con i progetti Erasmus per studenti e docenti, sia con le borse di dottorato. Abbiamo rapporti con atenei prestigiosi come Harvard, Mit, ma anche con molte altre realtà in Spagna, Germania, Svezia, Serbia, Sudafrica, Giappone. Alcuni studenti riescono a fare tesi congiunte per conseguire titoli che sono poi validi anche all’estero». E la ricettività della città nei confronti di questi studiosi stranieri? «Napoli non è pronta, specie per quanto riguarda l’ospitalità e la burocrazia. Si tratta di problemi nazionali, ma da noi si acuiscono. Gli ostelli, poi, sono sottodimensionati. Sono stati costruiti negli anni ‘90 quando l’internazionalizzazione era un’idea esotica, invece oggi è la realtà concreta. Almeno per noi». Nel dottorato di fisica la percentuale di stranieri è alta: «Anche perché abbiamo alcune borse dedicate proprio ai non italiani. L’anno scorso ci sono arrivate sessanta domande da tutto il mondo».
Jasneet è a Napoli da tre anni e racconta dei primi mesi di difficile adattamento, «ma poi», prosegue, «mio marito ha trovato lavoro come lettore di hindi all’Orientale ed è andata meglio». Sua figlia parla bene il napoletano, frequenta l’asilo a Fuorigrotta e ha tante amiche. Come si è rivelata la città? «Molto calda e accogliente, sul piano personale. Meno su quello burocratico. Negli uffici non si parla inglese, ci si capisce a stento... Ma dopo Nuova Delhi ero allenata a vivere ovunque. Il mio futuro? Non lo vedo qui, anche se mi trovo benissimo nel gruppo all’università. In generale dipenderà dalla carriera, ma ora sto provando a spostarmi in Canada».
Manjot è arrivato poco più di un anno fa e anche lui parla di un «ambiente scientifico ottimo», oltre al calore delle
I problemi
«Qui la burocrazia rende tutto più difficile. Altrove c’è un collegamento diretto tra Questura e atenei ed è più facile avere i documenti»
persone e alla bontà della cucina. I due giovani indiani stanno portando avanti, spiega Carlo Altucci, docente di Fisica applicata, ricerche in scienze dei materiali, in particolare sul grafene. Le applicazioni? Immaginiamo un cellulare o un tablet sottili come una sfoglia, da arrotolare e mettere in tasca. Ma ce ne sono anche nel campo della biomedica.
Mohammad Hassan Valadan a Napoli è diventato padre: è nata qui la sua bimba che ora ha soli quattro mesi. Iraniano di Shiraz, 32 anni, vive a Napoli da sei, dove si occupa delle brevissime sorgenti laser, utili per sondare la materia. Prima di venire qui aveva già visitato diverse città europee, da turista. «Mi aspettavo che Napoli avesse lo standard di una tipica città europea. Sono rimasto un po’ deluso, soprattutto dai trasporti. Quando sono arrivato alloggiavo in un ostello al Secondo Policlinico e per arrivare qui a Monte Sant’Angelo impiegavo due ore. Altrettante al ritorno. Ora va meglio, ho preso casa a Soccavo, che è molto più vicino al campus». Rispetto all’Iran? «Diciamo che da noi le cose stanno migliorando più velocemente. Per esempio ora nella mia città è stata aperta la metropolitana e funziona benissimo». E l’immagine di Napoli violenta? «Non avevo in mente la camorra prima di venire. Da quanto avevo letto on line, ero più preoccupato per la spazzatura». Arriva invece dal Togo Raouf Barboza: «Sono in Italia da dodici anni. I napoletani sono aperti e gentili, ma abbiamo troppi problemi per i permessi di soggiorno. All’estero spesso c’è un collegamento diretto tra Questura e università. La Federico II ci ha provato ma non è riuscita». «Qui», gli fa eco Valadan, «la vita non è facile, ma è anche vero il detto: si piange due volte, quando si arriva e quando si va via».