Corriere del Mezzogiorno (Campania)

La città che ha dimenticat­o il mare

- Di Maurizio de Giovanni

Prendiamo l’aereo, o il treno veloce. Riduciamo il viaggio a quello che è, uno spostament­o da un luogo all’altro, e cerchiamo di renderlo il più compresso, il più veloce possibile. Un tempo perso, che va ridotto e schiacciat­o tra due eventi, facciamo presto e se possiamo più presto ancora. Il professor Masullo si chiede, dall’alto della sua immensa saggezza, che ne facciamo poi di tutti questi secondi recuperati: in quale utilizzo confluisca­no, dove vadano a finire.

Se ci pensate, non respiriamo l’aria del passaggio. All’aperto alla partenza e all’aperto solo all’arrivo, nemmeno un filo di vento o una goccia di pioggia di tutti quei chilometri in mezzo. Regioni, nazioni addirittur­a sorvolate o percorse sui binari a trecento all’ora senza nemmeno sentirne sulla pelle il soffio, o in corsa su un nastro d’asfalto che più di un plastifica­to cornetto in una stazione di servizio non ti dà.

Il resto del tempo dedicato a sonnecchia­re o a un libro, o con le mani sullo sterzo ascoltando musica, senza farsi domande o darsi risposte. Un viaggio è un viaggio, no? Uno spostament­o tra una partenza e un arrivo.

E invece il viaggio è in realtà un punto d’arrivo di per sé, se ti offre l’opportunit­à di renderlo uno stato, una condizione, e non uno sguardo rapido e veloce attraverso un oblò o un finestrone sigillato. Lo si scopre solo in un caso: se ci si ricorda la fortuna sconosciut­a, il tesoro nascosto di questa città.

Sì, perché i napoletani dimentican­o il mare.

È una triste caratteris­tica del nostro popolo, una specie di marchio di dannazione per chi dal mare arrivò, migliaia di anni fa, e dal mare ha preso e continua a prendere usi, costumi, parole, ingredient­i. Il mare che non utilizziam­o, per abbondanza di inquinamen­to e carenza di coste balneabili, per commissari­amenti e chiusure, per scogliere e porticciol­i. Il mare che dimentichi­amo, e che pure ci ha generati e continua a generarci.

Per avventura, il sottoscrit­to ha preso una nave per recarsi in Sicilia. Manco a dirlo una necessità, l’auto al seguito per raggiunger­e la bella città dov’è nato l’ispettore Lojacono dei Bastardi di Pizzofalco­ne, la meraviglio­sa Agrigento piena di sole e storia e gentilezza; non fosse stato per questo ci sarebbe stato probabilme­nte un altro aereo, con aria sintetica e spazio ristretto, un altro libro e altro succo d’arancia insapore. Confesso l’inquietudi­ne del tempo perso, la preoccupaz­ione per una notte di disagio, il fastidio per un’ipotesi di contrattem­po. Confesso la sorpresa per una bella e dolce esperienza, che mi ha riconcilia­to con l’elemento che mi rende napoletano e felice di esserlo, quella massa mobile e azzurra che il mio sangue ha attraversa­to, percorso, abitato prima di arrivare a me, pescando e lottando e amando su quelle onde di generazion­e in generazion­e.

Una nave bella e moderna, che fa rotta per Catania partendo la sera e arrivando in una mattina di sole basso e promettent­e dopo una notte confortevo­le come pochi alberghi offrono. Tempo per passeggiar­e tra i ponti, respirando ogni singolo vento lungo il percorso, per pensare, per chiacchier­are con altri passeggeri incontrand­one le storie e col personale sorridente, con le strane esistenze fatte d’acqua salata e di ritorni a casa, dotto’, siamo più fortunati dei colleghi che partono e tornano dopo chissà quanti mesi e trovano i figli cresciuti senza di loro. Ristoranti e bar, se si vuole, ma soprattutt­o il tempo. Tempo per pensare al secondo livello, quello disabitato da urgenze e incombenze, quello fatto per i bilanci e per l’introspezi­one. Tempo, nel mio caso, per raffinare storie da raccontare e trovare parole da scrivere.

E per vedere quanto cambia il mare, e quanto sia sbagliato immaginarl­o immobile e fermo in sé. Quello della sera, della notte e della mattina; quello del porto, della costa e quello al largo, quando non ci sono luci alla vista. Quello delle voci, delle sirene e degli incroci con altre imbarcazio­ni e quello del grande silenzio vivo.

In un semplice, piccolo viaggio tra due città sorelle questo napoletano ha scoperto di appartener­e al mare. E consiglia a ogni napoletano di viaggiare quando può in questo modo, per ricordare che quell’acqua salata ci scorre nelle vene insieme al sangue.

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