Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La città che ha dimenticato il mare
Prendiamo l’aereo, o il treno veloce. Riduciamo il viaggio a quello che è, uno spostamento da un luogo all’altro, e cerchiamo di renderlo il più compresso, il più veloce possibile. Un tempo perso, che va ridotto e schiacciato tra due eventi, facciamo presto e se possiamo più presto ancora. Il professor Masullo si chiede, dall’alto della sua immensa saggezza, che ne facciamo poi di tutti questi secondi recuperati: in quale utilizzo confluiscano, dove vadano a finire.
Se ci pensate, non respiriamo l’aria del passaggio. All’aperto alla partenza e all’aperto solo all’arrivo, nemmeno un filo di vento o una goccia di pioggia di tutti quei chilometri in mezzo. Regioni, nazioni addirittura sorvolate o percorse sui binari a trecento all’ora senza nemmeno sentirne sulla pelle il soffio, o in corsa su un nastro d’asfalto che più di un plastificato cornetto in una stazione di servizio non ti dà.
Il resto del tempo dedicato a sonnecchiare o a un libro, o con le mani sullo sterzo ascoltando musica, senza farsi domande o darsi risposte. Un viaggio è un viaggio, no? Uno spostamento tra una partenza e un arrivo.
E invece il viaggio è in realtà un punto d’arrivo di per sé, se ti offre l’opportunità di renderlo uno stato, una condizione, e non uno sguardo rapido e veloce attraverso un oblò o un finestrone sigillato. Lo si scopre solo in un caso: se ci si ricorda la fortuna sconosciuta, il tesoro nascosto di questa città.
Sì, perché i napoletani dimenticano il mare.
È una triste caratteristica del nostro popolo, una specie di marchio di dannazione per chi dal mare arrivò, migliaia di anni fa, e dal mare ha preso e continua a prendere usi, costumi, parole, ingredienti. Il mare che non utilizziamo, per abbondanza di inquinamento e carenza di coste balneabili, per commissariamenti e chiusure, per scogliere e porticcioli. Il mare che dimentichiamo, e che pure ci ha generati e continua a generarci.
Per avventura, il sottoscritto ha preso una nave per recarsi in Sicilia. Manco a dirlo una necessità, l’auto al seguito per raggiungere la bella città dov’è nato l’ispettore Lojacono dei Bastardi di Pizzofalcone, la meravigliosa Agrigento piena di sole e storia e gentilezza; non fosse stato per questo ci sarebbe stato probabilmente un altro aereo, con aria sintetica e spazio ristretto, un altro libro e altro succo d’arancia insapore. Confesso l’inquietudine del tempo perso, la preoccupazione per una notte di disagio, il fastidio per un’ipotesi di contrattempo. Confesso la sorpresa per una bella e dolce esperienza, che mi ha riconciliato con l’elemento che mi rende napoletano e felice di esserlo, quella massa mobile e azzurra che il mio sangue ha attraversato, percorso, abitato prima di arrivare a me, pescando e lottando e amando su quelle onde di generazione in generazione.
Una nave bella e moderna, che fa rotta per Catania partendo la sera e arrivando in una mattina di sole basso e promettente dopo una notte confortevole come pochi alberghi offrono. Tempo per passeggiare tra i ponti, respirando ogni singolo vento lungo il percorso, per pensare, per chiacchierare con altri passeggeri incontrandone le storie e col personale sorridente, con le strane esistenze fatte d’acqua salata e di ritorni a casa, dotto’, siamo più fortunati dei colleghi che partono e tornano dopo chissà quanti mesi e trovano i figli cresciuti senza di loro. Ristoranti e bar, se si vuole, ma soprattutto il tempo. Tempo per pensare al secondo livello, quello disabitato da urgenze e incombenze, quello fatto per i bilanci e per l’introspezione. Tempo, nel mio caso, per raffinare storie da raccontare e trovare parole da scrivere.
E per vedere quanto cambia il mare, e quanto sia sbagliato immaginarlo immobile e fermo in sé. Quello della sera, della notte e della mattina; quello del porto, della costa e quello al largo, quando non ci sono luci alla vista. Quello delle voci, delle sirene e degli incroci con altre imbarcazioni e quello del grande silenzio vivo.
In un semplice, piccolo viaggio tra due città sorelle questo napoletano ha scoperto di appartenere al mare. E consiglia a ogni napoletano di viaggiare quando può in questo modo, per ricordare che quell’acqua salata ci scorre nelle vene insieme al sangue.