Corriere del Mezzogiorno (Campania)
SERVONO PIÙ RISORSE PUBBLICHE
Èbene continuare a ribadire, come fa opportunamente questo giornale, che l’economia duale, aspetto caratterizzante del nostro Paese, va accentuandosi. Sulla base dei redditi Irpef del 2017 diffusi dal dipartimento Finanze, si registra che se a livello nazionale si verifica una mini-ripresa tale da rendere possibile il conseguimento dei livelli pre-crisi del 2006, il Mezzogiorno è in una fase di palese ritardo. Infatti, il reddito medio nazionale si attesta a 20.940 euro, ma in Lombardia è pari a 24.750 euro, mentre in Calabria è di 14.950 euro. In Campania il reddito è di 17.140 euro, con un + 1% sul 2015. E’ il dato più elevato nel Sud dopo l’Abruzzo (17.830), ma rispetto al 2006 è quello che segna ancora una maggiore lontananza (-2,8%) dopo la Sicilia (-3,5%). Sono chiari dunque gli effetti differenziati, sia della crisi, sia della mini-ripresa in atto. Se i redditi Irpef dichiarati dai contribuenti del Nord hanno pareggiato i livelli reali del 2006, nel Mezzogiorno lo stesso valore è al di sotto del 3%. Così anche dal punto di vista dei redditi la crisi ha allargato la distanza fra le due Italie manifestatasi con il voto del 4 marzo. Ulteriore conferma del rafforzamento del carattere dualistico dell’economia italiana si trae dai dati relativi al reddito di inclusione e di contrasto della povertà. Ad oggi sono coinvolte 251 mila famiglie, ovvero 870 mila persone (intorno al 50% della platea potenziale), ma è significativo che 7 famiglie su 10 sono al Sud, con Campania, Calabria e Sicilia che rappresentano il 60% dei nuclei.
L’elaborazione di una strategia credibile di rilancio dell’economia del Mezzogiorno impone l’attuazione di investimenti pubblici in modo più rilevante di quanto si sia fatto oggi. Piaccia o non piaccia questa è la strada. È impensabile che un’area in ritardo possa trovare in se stessa le risorse finanziarie in grado di realizzare politiche economiche di sviluppo. È una questione ineludibile su cui le forze politiche vincitrici delle recenti elezioni sono chiamate a doversi confrontare, mettendo al bando strumentalizzazioni e falsificazioni della realtà. Speriamo che ne siano capaci.
Piuttosto si tratta di stabilire l’orizzonte entro cui l’intervento pubblico deve operare. Infrastrutture o sostegno all’industria? È un’alternativa non nuova. Già in passato, quando la presenza dello Stato nell’economia meridionale si fece più apprezzabile, si pose questa alternativa.
Né, è bene precisarlo, si possono fare scelte nette: è scontato che i due settori interferiscono e si condizionano fra loro. Tuttavia, una visione d’insieme va delineata. Nel Mezzogiorno occorre anzitutto attuare una politica di infrastrutture, soprattutto sociali, di ampia portata. Bisogna investire nella sanità, nella sicurezza, nella salvaguardia dell’ambiente, nella scuola, nell’università, nei trasporti, nelle strutture ricreative, cioè in tutti gli ambiti in cui si avverte che lo Stato è presente nella vita di tutti i giorni e conta nella società. Servono progetti che
guardino alle persone, ai loro bisogni, alla loro formazione, per incidere efficacemente affinché i divari nel Paese diminuiscano.
Bisogna essere ambiziosi e mirare a cambiare la mentalità che domina nel Mezzogiorno, che fa volare basso accontentandosi di interventi esteriori, per lo più inclini a preservare tradizionali compromessi e privilegi. Si tratta di valorizzare le competenze dei giovani meridionali volte a dare un sostanziale contributo all’abbattimento di consuetudini e mentalità «clientelari» radicatisi nel tempo volte a concepire la res pubblica come qualcosa da utilizzare a proprio uso e consumo. Allo stesso tempo, il capitale privato deve fare la sua parte: soprattutto i brand che traggono profitto dalla peculiarità e dalle potenzialità del Mezzogiorno sono chiamati a evidenziare con interventi, anche circoscritti, la loro volontà di imprimere una svolta al Sud.
Solo in questo modo si recupera il senso di comunità e di partecipazione civile, che sono il sale della democrazia.