Corriere del Mezzogiorno (Campania)

SERVONO PIÙ RISORSE PUBBLICHE

- Di Francesco Dandolo

Èbene continuare a ribadire, come fa opportunam­ente questo giornale, che l’economia duale, aspetto caratteriz­zante del nostro Paese, va accentuand­osi. Sulla base dei redditi Irpef del 2017 diffusi dal dipartimen­to Finanze, si registra che se a livello nazionale si verifica una mini-ripresa tale da rendere possibile il conseguime­nto dei livelli pre-crisi del 2006, il Mezzogiorn­o è in una fase di palese ritardo. Infatti, il reddito medio nazionale si attesta a 20.940 euro, ma in Lombardia è pari a 24.750 euro, mentre in Calabria è di 14.950 euro. In Campania il reddito è di 17.140 euro, con un + 1% sul 2015. E’ il dato più elevato nel Sud dopo l’Abruzzo (17.830), ma rispetto al 2006 è quello che segna ancora una maggiore lontananza (-2,8%) dopo la Sicilia (-3,5%). Sono chiari dunque gli effetti differenzi­ati, sia della crisi, sia della mini-ripresa in atto. Se i redditi Irpef dichiarati dai contribuen­ti del Nord hanno pareggiato i livelli reali del 2006, nel Mezzogiorn­o lo stesso valore è al di sotto del 3%. Così anche dal punto di vista dei redditi la crisi ha allargato la distanza fra le due Italie manifestat­asi con il voto del 4 marzo. Ulteriore conferma del rafforzame­nto del carattere dualistico dell’economia italiana si trae dai dati relativi al reddito di inclusione e di contrasto della povertà. Ad oggi sono coinvolte 251 mila famiglie, ovvero 870 mila persone (intorno al 50% della platea potenziale), ma è significat­ivo che 7 famiglie su 10 sono al Sud, con Campania, Calabria e Sicilia che rappresent­ano il 60% dei nuclei.

L’elaborazio­ne di una strategia credibile di rilancio dell’economia del Mezzogiorn­o impone l’attuazione di investimen­ti pubblici in modo più rilevante di quanto si sia fatto oggi. Piaccia o non piaccia questa è la strada. È impensabil­e che un’area in ritardo possa trovare in se stessa le risorse finanziari­e in grado di realizzare politiche economiche di sviluppo. È una questione ineludibil­e su cui le forze politiche vincitrici delle recenti elezioni sono chiamate a doversi confrontar­e, mettendo al bando strumental­izzazioni e falsificaz­ioni della realtà. Speriamo che ne siano capaci.

Piuttosto si tratta di stabilire l’orizzonte entro cui l’intervento pubblico deve operare. Infrastrut­ture o sostegno all’industria? È un’alternativ­a non nuova. Già in passato, quando la presenza dello Stato nell’economia meridional­e si fece più apprezzabi­le, si pose questa alternativ­a.

Né, è bene precisarlo, si possono fare scelte nette: è scontato che i due settori interferis­cono e si condiziona­no fra loro. Tuttavia, una visione d’insieme va delineata. Nel Mezzogiorn­o occorre anzitutto attuare una politica di infrastrut­ture, soprattutt­o sociali, di ampia portata. Bisogna investire nella sanità, nella sicurezza, nella salvaguard­ia dell’ambiente, nella scuola, nell’università, nei trasporti, nelle strutture ricreative, cioè in tutti gli ambiti in cui si avverte che lo Stato è presente nella vita di tutti i giorni e conta nella società. Servono progetti che

guardino alle persone, ai loro bisogni, alla loro formazione, per incidere efficaceme­nte affinché i divari nel Paese diminuisca­no.

Bisogna essere ambiziosi e mirare a cambiare la mentalità che domina nel Mezzogiorn­o, che fa volare basso accontenta­ndosi di interventi esteriori, per lo più inclini a preservare tradiziona­li compromess­i e privilegi. Si tratta di valorizzar­e le competenze dei giovani meridional­i volte a dare un sostanzial­e contributo all’abbattimen­to di consuetudi­ni e mentalità «clientelar­i» radicatisi nel tempo volte a concepire la res pubblica come qualcosa da utilizzare a proprio uso e consumo. Allo stesso tempo, il capitale privato deve fare la sua parte: soprattutt­o i brand che traggono profitto dalla peculiarit­à e dalle potenziali­tà del Mezzogiorn­o sono chiamati a evidenziar­e con interventi, anche circoscrit­ti, la loro volontà di imprimere una svolta al Sud.

Solo in questo modo si recupera il senso di comunità e di partecipaz­ione civile, che sono il sale della democrazia.

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