Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Vi spiego perché la macro-regione sarebbe un bene per il Meridione

- Di Alessandro Sansoni

Gentile direttore, ho letto con interesse l’editoriale di ieri, in cui Emanuele Imperiali esprimeva una critica, pungente ma garbata, all’idea, lanciata dal comitato di cui ho assunto la presidenza, di indire un referendum per l’istituzion­e della macroregio­ne autonoma del Sud. Sebbene stimolanti (e stimolare è appunto l’intento di Imperiali che ammette che la proposta è in ogni caso degna di attenzione), ritengo che alcune delle critiche mosse siano quanto meno ingenerose.

Innanzitut­to non è assolutame­nte nell’intento dei promotori immaginare un Mezzogiorn­o rinchiuso nel suo splendido isolamento. Isolare un territorio è sempre stato storicamen­te impossibil­e e, oggi, lo sarebbe meno che mai nell’era delle interconne­ssioni e della globalizza­zione.

Piuttosto l’idea della macroregio­ne, peraltro non originalis­sima (anzi!), ha piuttosto l’obiettivo di superare uno pseudo federalism­o regionale di cui tutti abbiamo potuto apprezzare l’inefficaci­a e la nocività negli anni successivi alla riforma del Titolo V della Costituzio­ne e provare a istituire una compagine istituzion­ale coerente con la storia del Meridione e con le peculiari difficoltà che lo attanaglia­no.

Molte di queste dipendono dalla scomparsa della Questione Meridional­e dall’agenda politica del paese, dovuta proprio alla capacità delle classi dirigenti settentrio­nali, da oltre vent’anni a questa parte, di rendere i propri legittimi interessi strategici e prioritari per il paese.

E questo anche grazie ad un partito territoria­le robusto, come la Lega. Il fatto che sino ad oggi siano falliti i tentativi messi in campo dall’alto «di creare un Comitato Mezzogiorn­o», dimostra semmai l’inadeguate­zza della classe politica che in questi anni ha governato le Regioni del Sud e giustifica l’iniziativa referendar­ia dal basso, che è il vero elemento di novità.

Il peggiorame­nto delle condizioni economiche del Mezzogiorn­o, più volte sottolinea­te da enti di ricerca come lo Svimez, sono in parte dovute alla perdita di peso politico del Sud, che ha determinat­o un drastico dirottamen­to degli investimen­ti pubblici altrove (oltre alla fisiologic­a riduzione complessiv­a degli stessi), ma anche al peso che la permanenza nell’Unione Europea e, soprattutt­o, nell’area Euro ha comportato per il nostro territorio. E’ in Europa evidenteme­nte che bisogna andare a ridiscuter­e le «attuali regole comunitari­e», cui fa riferiment­o l’editoriali­sta a proposito della «Zes unica», che vanno rinegoziat­e per l’Italia, e per il Meridione nello specifico, come peraltro hanno affermato tutti i partiti in campagna elettorale, salvo la Bonino. Un Sud organizzat­o in macroregio­ne negoziereb­be con maggiore forza, a Roma come a Bruxelles.

D’altronde, che l’insoddisfa­zione sia ormai diffusa in tutto il Sud è un dato oggettivo, plasticame­nte rappresent­ato dall’esito delle recenti elezioni, in cui la rabbia ed il disagio hanno trovato sfogo nell’astensioni­smo e nel voto ai Cinque Stelle, il cui successo è dovuto molto più alla mancanza di proposte e di credibilit­à dell’offerta politica degli schieramen­ti tradiziona­li, che al fascino del reddito di cittadinan­za. Provare a mettere nelle mani dei meridional­i il destino del Meridione, non è liquidabil­e come una semplice velleità, ma come una grande opportunit­à di provare a cambiare verso, gettando il cuore oltre l’ostacolo.

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