Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Vi spiego perché la macro-regione sarebbe un bene per il Meridione
Gentile direttore, ho letto con interesse l’editoriale di ieri, in cui Emanuele Imperiali esprimeva una critica, pungente ma garbata, all’idea, lanciata dal comitato di cui ho assunto la presidenza, di indire un referendum per l’istituzione della macroregione autonoma del Sud. Sebbene stimolanti (e stimolare è appunto l’intento di Imperiali che ammette che la proposta è in ogni caso degna di attenzione), ritengo che alcune delle critiche mosse siano quanto meno ingenerose.
Innanzitutto non è assolutamente nell’intento dei promotori immaginare un Mezzogiorno rinchiuso nel suo splendido isolamento. Isolare un territorio è sempre stato storicamente impossibile e, oggi, lo sarebbe meno che mai nell’era delle interconnessioni e della globalizzazione.
Piuttosto l’idea della macroregione, peraltro non originalissima (anzi!), ha piuttosto l’obiettivo di superare uno pseudo federalismo regionale di cui tutti abbiamo potuto apprezzare l’inefficacia e la nocività negli anni successivi alla riforma del Titolo V della Costituzione e provare a istituire una compagine istituzionale coerente con la storia del Meridione e con le peculiari difficoltà che lo attanagliano.
Molte di queste dipendono dalla scomparsa della Questione Meridionale dall’agenda politica del paese, dovuta proprio alla capacità delle classi dirigenti settentrionali, da oltre vent’anni a questa parte, di rendere i propri legittimi interessi strategici e prioritari per il paese.
E questo anche grazie ad un partito territoriale robusto, come la Lega. Il fatto che sino ad oggi siano falliti i tentativi messi in campo dall’alto «di creare un Comitato Mezzogiorno», dimostra semmai l’inadeguatezza della classe politica che in questi anni ha governato le Regioni del Sud e giustifica l’iniziativa referendaria dal basso, che è il vero elemento di novità.
Il peggioramento delle condizioni economiche del Mezzogiorno, più volte sottolineate da enti di ricerca come lo Svimez, sono in parte dovute alla perdita di peso politico del Sud, che ha determinato un drastico dirottamento degli investimenti pubblici altrove (oltre alla fisiologica riduzione complessiva degli stessi), ma anche al peso che la permanenza nell’Unione Europea e, soprattutto, nell’area Euro ha comportato per il nostro territorio. E’ in Europa evidentemente che bisogna andare a ridiscutere le «attuali regole comunitarie», cui fa riferimento l’editorialista a proposito della «Zes unica», che vanno rinegoziate per l’Italia, e per il Meridione nello specifico, come peraltro hanno affermato tutti i partiti in campagna elettorale, salvo la Bonino. Un Sud organizzato in macroregione negozierebbe con maggiore forza, a Roma come a Bruxelles.
D’altronde, che l’insoddisfazione sia ormai diffusa in tutto il Sud è un dato oggettivo, plasticamente rappresentato dall’esito delle recenti elezioni, in cui la rabbia ed il disagio hanno trovato sfogo nell’astensionismo e nel voto ai Cinque Stelle, il cui successo è dovuto molto più alla mancanza di proposte e di credibilità dell’offerta politica degli schieramenti tradizionali, che al fascino del reddito di cittadinanza. Provare a mettere nelle mani dei meridionali il destino del Meridione, non è liquidabile come una semplice velleità, ma come una grande opportunità di provare a cambiare verso, gettando il cuore oltre l’ostacolo.