Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Ero napoletano di fatto adesso lo sono di diritto»
Il filosofo: felice della cittadinanza, ora mi sento legittimato
«Anovantacinque anni appena compiuti mi resta un’ambizione: avere il tempo e la tranquillità necessari a proseguire i miei studi filosofici, continuare a cercare la risposta alle domande che l’umanità si pone». Fa progetti per il futuro Aldo Masullo, filosofo, prima deputato e poi senatore della Repubblica, Medaglia d’oro del Ministero della Pubblica Istruzione, direttore dal 1984 al 1990 del Dipartimento di Filosofia dell’Università Federico Secondo di Napoli, solo per citare alcune tappe della sua carriera. La sua storia personale si intreccia con quella di Napoli dal secondo Dopoguerra ad oggi. Da sempre impegnato tanto nell’ambito accademico quanto in quello politico nazionale e locale, Masullo ha anche messo al servizio di questa città la sua verve intellettuale e le sue competenze, tanto da guadagnarsi, ieri, la cittadinanza onoraria. Il sindaco de Magistris ha infatti accolto, proprio nel giorno del novantacinquesimo compleanno del professore originario di Nola, l’invito giunto da diverse personalità dell’ambito culturale e istituzionale cittadino.
Professore, lei vive a Napoli dal 1950. Che effetto le fa, oggi, diventare cittadino a tutti gli effetti?
«Prima lo ero di fatto, ora lo sono di diritto. Mi sento certamente più legittimato. Ma sono napoletano da settanta anni. In fondo, non è la cittadinanza a rendere una persona parte di una comunità: piuttosto sono i pensieri, i modi di agire, i gesti, le parole che usa. Ciò detto, sono molto contento di riceverla. Il sindaco e tutti i promotori di questa iniziativa mi danno un’ulteriore conferma dell’affetto e del calore che questa città mi ha sempre dedicato».
Lei ha cominciato a frequentare Napoli nei primi anni Quaranta, da studente pendolare di Filosofia. Cosa ricorda della città in quel periodo?
«La devastazione della guerra, i lati del Rettifilo ridotti a cumuli di macerie dai bombardamenti. Poco prima della liberazione ebbi l’esperienza dell’eccidio di Nola, quando i nazisti uccisero gli ufficiali ed il personale della caserma della mia città. Erano anni di dolore e vergogna. Eppure percepivo l’inesauribile forza di volontà di questo popolo. Io ed i miei coetanei eravamo pieni di speranze, i cuori rivolti alla ricostruzione e al futuro. Mi sono laureato proprio alla fine del conflitto, nel 1944. Fu allora che capitò uno degli episodi della mia vita che ricordo meglio».
Quale?
«Fu poco prima di laurearmi. La mia profes- soressa, Emilia Nobile, mi consigliò di incontrare Benedetto Croce. All’epoca, stando alle informazioni che avevo, era sfollato in una villa a Sorrento. Decisi di compiere quel viaggio senza un soldo in tasca, affidandomi a trasporti pubblici di cui lascio immaginare l’efficienza. Dopo un viaggio estenuante, una volta a Sorrento feci un’amara scoperta: il senatore Croce era stato riportato a Napoli appena qualche ora prima. Stanco, affamato ed amareggiato, decisi di tornare indietro. Era una meravigliosa giornata di dicembre, fredda ma soleggiata, e la penisola sorrentina mi sembrava un’oasi di pace lontana dagli orrori della guerra. Era l’unico conforto che avevo, anche perché intanto il tram che univa Castellammare a Sorrento si era guastato. Alcuni contadini mi offrirono pane, olio e formaggio, e mi sembrò un pranzo da re. Per fortuna, sulla strada trovai un carretto: il guidatore mi diede un passaggio e così potei prendere la Circumvesuviana».
E dopo, Croce lo incontrò?
«Sì. Ricordo l’intensità del suo sguardo penetrante e i suoi modi insieme modesti ed autorevoli. Da neofita, gli espressi tutta la mia ammirazione. Tuttavia non entrai mai a far parte del suo entourage: il mio approccio alla materia andava in un’altra direzione».
La sua passione per la filosofia si è sempre affiancata a quella per i temi civili. Dall’inizio degli anni Settanta, quando fu eletto deputato con il Pci, lei ha assistito e partecipato al cambiamento della politica nazionale e locale, fino a sfiorare la candidatura a sindaco di Napoli, nel ‘93. Come pensa si sia evoluta la politica cittadina, dall’epoca di Bassolino ad oggi?
«Al progetto politico di Bassolino ho sempre rimproverato una certa chiusura attorno ad un’immagine “regale” di Napoli. Il famoso “rinascimento napoletano”, rappresentato simbolicamente dalle opere d’arte contemporanee in Piazza del Plebiscito, ha coinvolto solo il centro della città e la sua borghesia, mai le periferie. Non c’è da stupirsi se, alla lunga, i napoletani abbiano deciso che si trattava di una stagione politica finita».
Come legge i risultati delle ultime elezioni politiche, che hanno visto il Movimento Cinque Stelle in testa a Napoli?
«È l’onda lunga provocata dagli errori della politica tradizionale. La sinistra ha rinunciato ad occuparsi delle classi meno avvantaggiate ed ha abbandonato il dialogo diretto con i cittadini, una buona pratica delle sezioni di partito di una volta. Insomma, si è inaridita. Nel vuoto ideologico, un partito come quello di Di Maio ha avuto gioco facile. Fra i Cinque Stelle ci sono certamente persone di grande valore, ma non dimentichiamo che tutto dipende da un’azienda di informatica che gestisce l’attività dei candidati. È politica, questa?».
Il pensiero A rendere una persona parte di una comunità sono i pensieri, i modi di agire, i gesti, le parole che usa Ho ricordi bellissimi, come quella volta che da giovane laureato feci di tutto per incontrare Benedetto Croce