Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Dal clan Moccia minacce e calunnie agli inquirenti»
Le tesi del Riesame. Il legale del sacerdote indagato per concorso esterno: abbiamo chiarito ogni cosa
NAPOLI Altro che «autentico ciarpame dimostrativo»: gli elementi raccolti dai pm a carico del clan Moccia (e in particolare di Luigi) alla base dell’ordinanza notificata lo scorso gennaio a 45 persone ritenute legate alla cosca di Afragola sono, secondo il Riesame, validissimi: «L’attuale operatività del sodalizio camorristico diretto da Luigi Moccia è resa evidente, oltre che dal perdurante controllo monopolistico dell’area nord orientale della provincia di Napoli, dalle alleanze con le altre associazioni camorristiche dominanti il territorio e dall’ampliamento dei suoi obiettivi criminali fuori regione, dalla capacità di continuare a sostenere economicamente gli affiliati, assicurare appoggi logistici ai latitanti, esercitare pressioni e condizionamenti sui familiari dei collaboratori, compiere gravi azioni ritorsive e punitive su costoro e sui testi del procedimento, aggravando il clima di terrore ed omertà già diffuso nel territorio».
Parole durissime con cui il collegio che ha tenuto agli arresti tutti gli indagati (presidente Tommaso Miranda, giudici Mariaraffaella Caramiello e Paola Faillace, tutti coestensori dell’ordinanza) infliggono un ulteriore duro colpo a un clan che per anni ha messo in atto una strategia di aggressione nei confronti delle istituzioni, denunciando carabinieri, magistrati e giornalisti, intimidendo collaboratori di giustizia, fingendo dissociazioni («diabolica strategia») per avere mano libera. Tra le «tecniche utilizzate per sfuggire all’attenzione investigativa» c’è «la delegittimazione di collaboratori di giustizia ed inquirenti, attuata ricorrendo a tecniche calunniatrici e diffamatorie finalizzate a neutralizzarne l’attività di disvelamento degli assetti del clan, delle sue mutazioni genetiche e dei nuovi settori di interesse criminale».
Nella vicenda, intanto, c’è da registrare un’altra novità: don Salvatore Barricelli, parroco di Santa Maria della Sperlonga a Casolla di Caivano, è stato iscritto nel registro degli indagati per concorso esterno in associazione camorristica. Da un’intercettazione ambientale emerge che il sacerdote si prestava a portare a San Marino denaro del clan Moccia tenendolo nascosto sotto la veste.
In 72 pagine i giudici della libertà smontano pezzo a pezzo i teoremi della difesa: difesa che, si sottolinea nelle motivazioni, ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza cautelar per Luigi Moccia, soprannominato «il papa», «contestando - con doglianze di varia natura così da rendere quanto mai complessa sia lo comprensione delle singole censure sia il relativo esame - ogni singolo elemento di accusa nei confronti del l’indagato». Confermato in modo inequivocabile, dunque, l’impianto accusatorio ordito dai pm Ida Teresa, Gianfranco Scarfò e Ivana Fulco.
Don Salvatore Barricelli, che è difeso dall’avvocato Alfonso Quarto, ha chiesto e ottenuto di essere interrogato. «In circa tre ore - sostiene il legale - il sacerdote ha fugato ogni dubbio sulla sua partecipazione da esterno al clan Moccia e sull’ipotizzato contributo dato mediante il trasporto di denaro a San Marino. In particolare ha chiarito di non esser mai stato a San Marino e di non avere mai avuto richieste da chicchessia di spostare denaro all’estero. Confidiamo - dice ancora l’avvocato - in una celere chiusura delle indagini e nella definitiva archiviazione della posizione del sacerdote».
Pratiche Utilizzata la delegittimazione di collaboratori di giustizia e inquirenti