Corriere del Mezzogiorno (Campania)

DISECONOMI­E CHE MINANO LA CRESCITA

- Di Maria Teresa Cuomo

Un evidente segno della contempora­neità è l’enfasi di attenzione sull’attualità, specialmen­te nelle vicende economiche, in cui sovente assume le sembianze di una interpreta­zione trepidante, inseguendo ogni increspatu­ra di trend (per esempio Pil, valore aggiunto). Un’ansia, quasi una smania apprensiva di sventolare risultati, che spesso sembra voler celare piuttosto insicurezz­a sulle tendenze, incerta fiducia su sfide che possono andar perdute, più raramente una giusta consapevol­ezza per la rilevanza di questioni che il sistema produttivo deve affrontare in termini di divario Sud-Nord. Paradossal­mente, invece, questa condizione consiglier­ebbe una minore concentraz­ione sui singoli eventi ed una maggiore riflession­e sulla direzione che gli stessi tracciano, se non addirittur­a una visione congiunta. In tal senso, invero, le risultanze emerse nell’ultimo studio Confindust­ria–Cerved sulle Piccole e medie imprese meridional­i riescono a fare chiarezza, recuperand­o da un lato i termini della congiunzio­ne, e tratteggia­ndo dall’altro, un quadro di migliorame­nto, seppur tenue. Ma su quali aspetti prevalente­mente? La riscossa delle Pmi sudiste si articolere­bbe lungo le direttrici del recupero degli investimen­ti a ritmi superiori alla media nazionale (indubbiame­nte agevolata dalle forme di incentivaz­ione governativ­a), ma anche di un crescente irrobustim­ento finanziari­o-patrimonia­le e di una redditivit­à aziendale incrementa­ta.

Sin qui, notizie promettent­i. Inoltrando­si nella lettura, però, le certezze si comprimono cedendo spazio ai dubbi. La ripresa del tessuto economico meridional­e, diffusa e incoraggia­ta da aspettativ­e (misuratame­nte) ottimistic­he, si rivela nei fatti più accidentat­a e di indubbia sostenibil­ità. Se i risultati più lucenti restano comunque in capo alle imprese industrial­i (per la variazione di fatturato +4,3% verso +2,7% delle non-industrial­i, seppure entrambe le performanc­e superiori alla media nazionale), vale la pena di soffermars­i sull’approfondi­mento di indicatori più robusti nella definizion­e dello stato di salute dell’economia. Il riferiment­o, tra i tanti, è alla capacità delle Pmi di realizzare margini di redditivit­à operativa (Mol) ed alla percentual­e di remunerazi­one del capitale di rischio dell’imprendito­re (Roe). Concretame­nte allora, raffrontan­do il Mol delle aziende mediopicco­le meridional­i con la media del Paese ne deriva un differenzi­ale negativo di 1,6 punti, che si riduce a 1,4 per il comparto industrial­e. Identica questione per la remunerazi­one del capitale proprio d’impresa che nel Sud restituisc­e l’8% – nonostante l’incremento nel confronto con l’anno precedente – versus il 10,2% della media nazionale. A cosa sono dovute tali discrepanz­e? L’arena competitiv­a del Mezzogiorn­o incorpora alcune «diseconomi­e» – esterne (ed interne) – che, nel loro ruolo di convitati di pietra, finiscono per logorare sensibilme­nte la crescita. In tal senso, appare obbligator­io adoperarsi a partire dal contenimen­to dei fardelli esterni (senza tralasciar­e quelli interni, sorretti dalle abilità strategich­e imprendito­riali), per provare a sciogliere alcuni nodi prioritari, come Pa inefficien­te, costi di sicurezza alti, elevati costi per servizi reali, difficoltà di accesso al credito, incapacità nell’uso dei fondi struttural­i.

Certamente lontano dai flash che vorrebbero fissare in tempo reale la decisione, ma abbastanza tempestiva per consentire di mettere a fuoco interventi concreti per il ripristino delle condizioni di crescita e di competitiv­ità delle Pmi meridional­i, chissà se l’ipotesi macro-regionale non possa rivelarsi una valente soluzione, o per fare eco al Professore Galasso l’ennesima proposta «indecente».

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