Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Il partito democratico non è più «comunità» Ora serve una svolta
Caro direttore, ho letto l’interessante riflessione di Edoardo Cicelyn pubblicata sul Corriere del Mezzogiorno. Quando un partito raccoglie nel Meridione circa il 12 per cento dei voti la critica è legittima e doverosa. Il Pd ha perso nel Sud del Paese tutti i collegi, arrivando sempre terzo e il M5S si è attestato in tutte le realtà del Mezzogiorno tra il 40 e 60 per cento, quindi, piaccia o no, rappresenta in modo egemonico la politica nazionale in questa parte d’Italia.
Se il Partito democratico, d’altro canto, esiste solo un po’ nel voto di opinione delle grandi realtà urbane, e tiene, in particolare, nei quartieri medio-alti, la sua missione, ispirata dai valori del socialismo europeo, o è totalmente incompresa, cosa implausibile, o è stata almeno in parte in qualche modo tradita.
Non vorrei entrare nel merito delle affermazioni dell’editoriale su quello che è, o sarebbe, il Pd napoletano oggi, ma vedo bene quella «trance da sconfitta» di cui parla e vorrei segnalare che con fatica c’è chi si sforza di coltivare quel «barlume di vita».
Sabato scorso non si sono solo opposte due piazze semi-vuote e (a me è parso) impotenti. È avvenuto anche che tre sigle culturali abbiano dato vita ad un serrato confronto di tre ore e mezzo, con decine di interventi per discutere in modo pacato su come dare al Mezzogiorno una classe politica di sinistra degna di questo nome.
Demonline, Tempismo Democratico e Ragione Pubblica hanno fatto quello che in questo momento non si può fare serenamente nel Pd, le cui assise saltano a tutti i livelli, tra l’altro. Ne è risultato un dibattito di qualità: chiunque può farsene un’opinione guardando lo streaming sulla pagina Demonline di Facebook. Erano assenti tutti i grandi raccoglitori di preferenze, certamente seduti in prima fila se fosse stata annunciata la presenza di qualche leader nazionale.
Anche questo è un aspetto della crisi del Meridione, che è anche di selezione e subalternità. Quei collettori di preferenze rimasti inerti nella più importante battaglia civile e politica dell’ultimo ventennio, il referendum costituzionale del 2016 e che si sono scarsamente mobilitati, e comunque senza effetto, nelle elezioni del 4 marzo. Se ci si muove solo per un interesse immediato e se si può contare su un elettorato con caratteri inidonei ai test a valenza generale, ecco che l’esito non può che essere catastrofico. Non c’è più la comunità, anche se ci sono (ne ho avuto prova durante la campagna referendaria) vitali gruppi di militanti e naturalmente tanti bravi amministratori che devono imparare a fare squadra.
Attorno ad un tema sicuramente troppo grande per noi («Una classe politica per il Mezzogiorno», dedicato al professor Galasso) si è raccolta una piccola ma qualificata comunità, e dobbiamo ripartire dal senso di comunità, dal rispetto delle regole, dalla scelta di una selezione responsabile e, ovviamente, da proposte.
Proseguiremo, nella nostra pluralità di ispirazione ed eventualmente anche associando altre realtà di buona volontà, con un lavoro di approfondimento di singole politiche: dalla contabilità degli enti locali (che è un grande tema politico), agli strumenti di sostegno al reddito e di contrasto alla povertà, dai trasporti e la logistica ad una riflessione sui servizi pubblici locali a partire dal bene acqua, dalla riorganizzazione territoriale ad una riflessione sull’impatto della riforma del Titolo V sul Mezzogiorno (si pensi solo alla salute) e così via, finché avremo forza e voglia. Soltanto con analisi rigorose e proposte estremamente coraggiose, da tradurre in politiche con una nuova classe dirigente, potremo provare ad invertire il piano del declino meridionale evidente, ad esempio, dal crollo demografico.
Non credo sia il caso di attendere oltre che altri risolvano i nostri problemi. Se ci daranno una mano, meglio. Altrimenti arriveremo fin dove potremo. Non so se sia la risposta che invoca Cicelyn, ma c’è qualcuno che con fatica e pari determinazione, si sta adoperando per rimettere insieme i cocci, «spes contra spem», avrebbe detto Marco Pannella.