Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Vincenza Modica racconta il regista, attore e drammaturgo scomparso 25 anni fa «Il suo sguardo contro il delirio dell’immagine»
esperienze e incarnandoli nel proprio essere lì». A Neiwiller non interessava il testo ma nemmeno la direzione che stava prendendo la cosiddetta nuova spettacolarità. «Sì, non gli piacevano il delirio e l’onnipotenza dell’immagine e in questo è stato un grande anticipatore. In maniera ardua e tenace manteneva il timone su un’altra rotta. Andava all’origine delle cose, sapeva stare nelle inquietudini senza cercare di rimuoverle né di offuscarle con la lucentezza dell’immagine, cercava quello che in scena da una o più persone si può irradiare. Soprattutto gli interessava lavorare con una comunità di persone. L’uomo era sempre al centro della sua indagine, l’uomo nella sua essenza nuda, con la crudeltà e la fragilità stessa dell’essere uomo».
Per Neiwiller è stato fondamentale l’incontro con il teatro di Tadeusz Kantor, in particolare con lo spettacolo-manifesto «La classe morta». Ne parlava durante il lavoro? «Nel laboratorio che ci condusse a “Storia naturale infinita” non lo ha mai citato se non alla fine. Lo stesso accadde con Enzensberger e “La fine del Titanic”, che ha ispirato il suo omonimo lavoro. Sono territori sui quali ci siamo mossi senza saperlo. Ad Antonio non interessava la parola, ma nel suo teatro c’era un mondo venuto fuori dalla sua frequentazione con i testi. Da quello che affiorava in lui poneva interrogazione pratiche, sceniche. E ha fatto un’opera di dissoluzione di tutto ciò che poteva essere un appiglio per
Sopra, una scena di Titanic (Vincenza Modica è il personaggio senza capelli) A fianco, l’attrice in una scena di «Storia naturale infinita» Entrambe le foto sono di Cesare Accetta