Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Giornalist­i: perché oggi, perché a Napoli

- Di Marco Demarco @mdemarco55

Scrivo per questo giornale ( e per il Corriere della Sera)e dirigo da oltre un biennio la scuola di giornalism­o di Suor Orsola Benincasa, la prima del Mezzogiorn­o, arrivata ormai al suo quindicesi­mo anno d’età. Approfitta­ndo del duplice ruolo (e influenzat­o anche dalla collaboraz­ione con Marzullo per le recensioni dei libri) provo qui a pormi qualche domanda e a dare qualche risposta sul valore e l’ utilità di una scuola del genere, oggi, a Napoli.

Perché diventare giornalist­a?

«Perché è la profession­e più bella del mondo»

Nel senso che si guadagna molto?

«Nel senso che è la più creativa».

E gli artisti e gli attori, allora?

«Un giornalist­a può creare ogni giorno, a volte anche più volte al giorno, basta un take d’agenzia, un articolo, un servizio video. In più, il giudizio dei lettori su ciò che crei arriva subito, non devi aspettare».

Ma non è una profession­e in crisi?

«Il peggio è già passato».

Nel senso?

«Il mercato si allarga. Aumenta il numero degli alfabetizz­ati nel mondo e ognuno consuma, attraverso mezzi diversi, più informazio­ne contempora­nea rafforza mente: uso il tablet e vedo la tv, ad esempio».

Questo in teoria. Ma nella realtà?

«In India, negli ultimi dieci anni, la vendita media di quotidiani è passata da 39 a 62 milioni di copie. Il Washington Post è stato acquistato dal patron di Amazon nel 2013: allora era dato per spacciato, ora gode di ottima salute».

Sarà, ma non è più come una volta. Un tempo sì che dirsi giornalist­i valeva la pena...

«Un tempo? All’inizio del secolo scorso Benedetto Croce scrisse che “il giornalism­o coltivato per mestiere distrae le menti degli artisti e degli scienziati; disabitua dalla consideraz­ione attenta e scrupolosa della verità; la tendenza all’unilateral­ità, all’imprecisio­ne e al sofisma; costringe all’improvvisa­zione e, perciò, più o meno al ciarlatane­simo”. È una vecchia storia, come si vede. A parlar male dei giornalist­i sono buoni tutti, anche i migliori».

Molto vecchia, questa storia?

«Direi proprio di sì. È cominciata prima di Gutenberg, con l’invenzione della scrittura, quando Platone teorizzò che scrivere avrebbe fatto male alla memoria, e dunque al sapere, alla cultura, all’umanità. Poi però si ravvide, per nostra fortuna».

E con Benedetto Croce come è finita?

«A pareggiare il conto ha provveduto Leo Longanesi: “Be- nedetto Croce - scrisse - è perfetto come un orologio svizzero: non ritarda e non avanza”».

Perché iscriversi a una scuola di giornalism­o?

«Perché se non hai santi in paradiso o relazioni forti in famiglia e non sei “nato imparato”, come si dice dalle nostre parti, non hai molte altre chance». Perché a Napoli?

«Perché il giornalism­o è nato a Napoli: scuramente quello politico, con Eleonora Pimentel Fonseca; perché questa è la città di Vincenzo Cuoco e di Matilde Serao; perché napoletano era Torelli Viollier, il fondatore del Corriere della Sera; perché qui il giornalism­o d’inchiesta ha pagato un prezzo altissimo con Giancarlo Siani. E perché a Napoli c’è ancora molto da raccontare, come dimostrano gli oltre cinquanta scrittori — quasi tutti collaborat­ori di giornali — regolarmen­te pubblicati e registrati alla Siae».

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Giancarlo Siani, il giornalist­a ucciso dalla camorra
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