Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Per niente Candida

- Di Candida Morvillo

Cara Candida, stavo aiutando mio marito a impostare il suo nuovo telefonino. Non è bravo con le tecnologie, come non è bravo con i sentimenti, se ne sta sempre taciturno, per periodi quasi depresso. Nonostante abbiamo costruito tutto quello che volevamo, ha perso la gioia e la spensierat­ezza di quando l’ho conosciuto. Mentre sistemavo il telefono, ho trovato una sua chat su un social, ed era un uomo che non esiste che chiacchier­a con una giovane e si racconta come un ragazzo padre che porta il figlio al mare, gli fa fare i tuffi sino a sfinirsi, lo carica in moto, col vento sulla faccia, poi lo porta a un concerto, dove lui stesso suona la chitarra, come quando era giovane, quindi in viaggio in tenda e tutta una serie di fantasie, che però non mi contemplav­ano. Per quella ragazza, io potrei essere morta, non essere mai esistita. Per mio marito, quando parla con lei, io non esisto. Guardo la faccia senza rughe della ragazza e scopro che somiglia alla me che ero, spio le sue foto, il suo diario, la sua vita di studentess­a che ancora vive coi genitori in un posto non così lontano da qui e non so fargliene una colpa se non si è fatta delle domande, se quell’uomo le è parso divertente e affidabile. Non si sono mai visti, lui non ha mai voluto e io non so che fare e che pensare, se fingere che quello ho letto i figli al mare perché d’estate chiude le imposte e dice che gli fa male la luce. Se affrontare lui e dirgli che, se vuole, se è capace, può andarsene e vivere come vuole, non con i miei figli, però. Sono sempre stata una donna pratica, prendo di petto le cose, sono una madre che lavora e ho imparato a mettere regole che fanno filare tutto liscio, sono brava a risolvere i problemi di tutti i giorni, ma come si fa ad affrontare l’irreale? E se sto zitta e poi lui va da lei?Grazie,

Rosa Cara Rosa, le vite che non abbiamo vissuto tornano sempre ad affacciars­i alla memoria coi loro inganni. Le persone che non siamo state, che potevamo essere e non siamo diventate, vivono in un qualche posto nascosto in fondo ai nostri cuori e a volte non si rassegnano a starsene zitte. I sogni di suo marito sono assai innocenti, non c’è niente di trasgressi­vo nelle sue menzogne, niente di proibito, solo l’espression­e di un sé capace di vivere esclusivam­ente nella fantasia. La verità è che, nella vita, non serve a niente aver guadagnato tutto quello desiderava­mo se però abbiamo perduto noi stessi. La ragazza con cui chatta suo marito somiglia a lei quando era ragazza, nell’età in cui ogni sogno era ancora possibile. A suo marito manca quella spensierat­ezza e manca lei com’era quando ancora non diceva di sé «sono una persona pratica», «metto le regole», «risolvo i problemi». Il culto dell’efficienza ci fa credere che il nostro scopo sia fare bene e ci fa dimenticar­e che lo scopo è, invece, stare bene. A volte gli uomini, sposandosi, perdono verve perché si sentono messi in gabbia. E prima di accusarli di essere diventati noiosi dovremmo chiederci se non siamo un po’ noiose anche noi, se noi per prime non mettiamo troppo affanno e paura nella quotidiani­tà. Fossi in lei, non scriverei alla ragazza, non direi niente al marito, non per ora almeno. Farei in modo che questo incidente sia l’occasione per entrambi di ritrovare la spensierat­ezza, quel bambino che – diceva Friedrich Nietzsche – si nasconde dentro ogni adulto e che ha ancora voglia di giocare.

Abbiamo tutti il dovere di vivere e non solo di sopravvive­re

Gentile Candida, ancora la sera io e mia moglie ci sediamo uno di fronte all’altro e ci chiediamo dove abbiamo sbagliato, cosa non abbiamo voluto vedere. Due figli, un tempo, e ora, da due anni, uno soltanto. Una figlia venuta su benissimo, laureata, con un compagno perbene, incinta, una sua vita precisa. Uno la vede e può dire soltanto che siamo stati genitori splendidi. L’altro figlio si è perso per strada. Poteva avere tutto e non ha voluto niente. Non ha mai voluto studiare, e poi un giorno a tavola ha avuto un collasso. Si è ripreso, gli abbiamo trovato delle droghe leggere, ci ha detto che non c’era niente di male, che anche noi in gioventù ne abbiamo prese. Non abbiamo potuto dirgli niente, abbiamo pensato che sarebbe passato tutto com’era passato per noi. Poi, ha cominciato a uscire e non tornare, il giubbotto bello che gli avevamo regalato a Natale ha detto che l’aveva prestato a un amico e invece l’aveva venduto, poi è scomparso il computer, poi il televisore dalla stanza di sua sorella. Uno

crede che l’eroina non esiste più e invece ancora si porta via i ragazzi. Magari per errore, come nel suo caso, che poi s’è schiantato in auto ma era colpa della droga, non di una distrazion­e. Ventidue anni e una vita davanti che ormai era persa, non aveva studiato, si rifiutava di immaginare, un giorno, di entrare nel mio studio di avvocato. Si rifiutava di pensare che doveva diventare grande. E adesso viviamo col suo fantasma, paralizzat­i, e io e mia moglie sappiamo solo discutere e discutere di chi è stata la colpa, dei segnali che abbiamo sottovalut­ato, ci interroghi­amo sull’istante in cui lo abbiamo perso, o stiamo zitti per giorni interi e quelli sono i giorni migliori.

Enrico

Caro Enrico, bisogna imparare dagli errori del passato, ma non lasciarsi avvelenare da ciò che è stato e che non si può più cambiare. Potersi dire che si è stati genitori splendidi o pessimi non è lo scopo della lezione che la vita vi ha chiesto di imparare. La lezione è sempre la stessa, di qualunque cosa si parli, ed è quella di tenere gli occhi e il cuore aperto in ogni istante e, in ogni istante, di capire cosa dobbiamo fare in quel preciso momento per essere felici e migliori. Sopravvive­re a un figlio significa anzitutto essere ancora capaci di vivere il presente e immaginare il futuro. Ma, a volte, come nel vostro caso, presente e futuro passano senza che neanche ce ne accorgiamo. «Al di sotto di una certa soglia, è questo che diventano gli uomini: sistemi di sopravvive­nza», scriveva Julian Barnes in quel capolavoro sulla vigliacche­ria e sul coraggio di vivere che è Il Rumore del tempo. Abbiamo tutti il dovere di vivere, non di sopravvive­re. Per noi, per essere felici adesso e non per metterci addosso un’etichetta che ci inchioda agli errori che abbiamo commesso. Si ricomincia a vivere calandosi nelle piccole cose, potando una pianta, cucinando con gusto un buon piatto, facendo altro tutte le volte che ci accorgiamo che stiamo facendo qualcosa contro noi stessi.

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Una scena di «Easy rider», il film del viaggio in moto in totale libertà
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