Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Barbara Rose regina d’arte slow «Politici, fate di più per Caserta»
Il noto critico americano e la mostra «La pittura dopo il postmodernismo» «Bellissimo il teatro della Reggia, ci organizzerei un ciclo di concerti da camera»
«Icasertani? Supersimpatici e con una grande voglia di far salire il livello culturale della loro città. E accoglienti, avvolgenti. Splendidi». Una grazia ed eleganza fuori dal comune, un garbo e un’intelligenza straordinari. Cappello calcato ben sulla testa che copre uno sguardo pieno di calore e simpatia. E così Barbara Rose, storica dell’arte statunitense, docente all’American University di Washington conquista Caserta e i suoi cittadini trasformando il TittiArtistic B&B in cui alloggia in un mini circolo culturale. Mentre Corso Trieste sembra una rue des artistes di cui lei è la regina. Una regina che dispensa saluti e consigli seduta ai tavolini del Bar Serao dove le hanno dedicato un cocktail ad hoc, il Barbara Rose. Volevano chiamarlo il Bacio ma lei ha giustamente fatto notare: «Se è dedicato a me allora che si chiami come me». Ha frequentato molto Caserta in questo ultimo periodo. In preparazione della sua mostra “La pittura dopo il postmodernismo”, che sarà alla Reggia fino al 16 giugno organizzata e prodotta da 2+2Cinque con il patrocinio tra gli altri del Mibact, Reggia di Caserta, e Museo Madre dove tra l’altro ha presentato il suo docufilm Jackson Pollock the Man and the Myth proprio nei giorni scorsi.
Un terzo scalo di questo personalissimo sogno visionario dopo Bruxelles nel 2016 e Malaga nel 2017. Ce ne parla?
«Tutto è iniziato con la mia amicizia con il collezionista Roberto Polo che ho incontrato a Bruxelles quasi per caso. E abbiamo iniziato a interrogarci della necessità di guardare la pittura contemporanea in altro modo. Il post-moderno non è l’inizio bensì la fine e non ha nulla a che fare con la pittura. Se decidiamo che la pittura è morta si può fare qualsiasi cosa: proiezioni, foto, installazioni. Però ciò non toglie nulla in realtà alla meraviglia della pittura, con le sue superfici e consistenze, che ha fatto grandi i maestri antichi. Un’arte che ha ritrovato dei nuovi spazi pur mantenendo la magnificenza di un tempo. Ecco che in questa mostra gli artisti, belgi, italiani e americani, hanno qualcosa in comune ma ognuno ha il proprio modo di esprimersi pressoché artigianale. Tanti contenuti concettuali ma anche una manualità spettacolare. Un’arte slow non fabbricata, non artificiale. Concettuale ma sentita. Espressa».
Un’arte slow da assaporare, ma un’arte per pochi?
«Più che altro per quelli che si prendono il tempo di andare a fondo dell’opera che stanno guardando. Che cercano il significato più profondo di quello che l’artista vuole esprimere. Detto ciò oggi si chiede spesso se l’arte debba parlare alle masse. Cosa ne penso? Credo di sì. Tutti possono capire l’arte ma devono avere il giusto approccio emotivo, non quello del farsi il selfie davanti a più quadri possibili perché è di moda».
Cosa caratterizza la mostra di Caserta rispetto alle due precedenti?
«Oltre ad aggiungere anche artisti italiani abbiamo in qualche modo miscelato il tutto dando un filo conduttore e trasformando la mostra in un viaggio emozionale. E poi siamo alla Reggia di Caserta. Un edificio straordinario. Pensate che ci siamo incrociati con il cast del film di Hopkins. Se hanno pensato di trasformare la Reggia di Caserta nel Vaticano ci sarà un motivo? Detto ciò, ovviamente è un edificio che va valorizzato».
Crede che ci sia ancora
Tendenze
«Il giusto approccio emotivo non è quello di farsi il davanti a più quadri possibili»