Corriere del Mezzogiorno (Campania)
PASSIONI VERE E MENO VERE
In quella torrida estate del 2004, le sorti del Napoli si decidevano in tribunale. Un indimenticabile Paolo del Genio, con la barba incolta e gli occhi resi bigi da un destino ineluttabile, annunciava in diretta la sentenza: fallimento. Non tutti la presero bene. E come dar loro torto? Per Napoli fu un’ingiustizia, frutto d’incapacità dirigenziale e di speculazioni senza remore su ciò che rimaneva di una società dalle cui sorti dipende la condizione psichica di un popolo che in amore non si è mai saputo risparmiare. Eppure alla prima giornata di campionato in casa, il San Paolo era già stracolmo in ogni ordine di posto. La città aveva capito. Non c’era altro modo per evitare di soccombere al peso del passato. Era arrivato il tempo di rifondare. Su quali basi, tuttavia? Due: passione e programmazione. Senza l’equilibrio tra la passione e la programmazione, oggi la SSC Napoli non si ritroverebbe al di là del confine immaginario tracciato dal poderoso stacco di testa dell’afronapoletano Kalidou Koulibaly, che inchioda con violenza inaudita i bianconeri alla realtà più difficile da accettare per chi è abituato a vestire di superbia gli esiti controversi del proprio strapotere. E cioè che domenica notte, allo Juventus Stadium, nella casa degli Agnelli, il Napoli di Maurizio Sarri ha dimostrato di essere cresciuto sotto tutti i punti di vista, a tal punto da risultare più forte della Juventus di Massimiliano Allegri.
Passione, si è detto. Certo, quella dei tifosi manca di sobrietà. Straripante, quando si vince, benché, a onor del vero, messa da parte in alcuni momenti durante i quali è più facile inveire contro un calciatore per un passaggio sbagliato piuttosto che sostenere gli sforzi di chi in campo prova a dare tutto; piuttosto che crederci fino alla fine. Ma la passione non è quella forma tardo-romantica di esaltazione tragica per l’effimero.
Passione è cura quotidiana per i particolari.
Passione è Marek Hamsik, il capitano, che sceglie di vivere vicino al campo di allenamento per poter arrivare il prima possibile. Passione è il metodo di Maurizio Sarri, racchiuso in quelle parole pronunciate all’inizio del primo anno a Napoli. Stranianti allora, ma profetiche adesso: «Tra tre anni saremo come l’Empoli». Parole che dimostrano con i fatti quanto legate l’una all’altra siano la passione, quella vera, e la programmazione, intesa come capacità di realizzare, nel tempo, ciò che la passione esprime come priorità inderogabile nell’immediato.
Non è vera passione, allora, quella del sindaco de Magistris per Napoli. Non lo è perché nelle sue scelte mancano le coordinate di lungo periodo che avrebbero consentito a Napoli di limitare il peso del debito pubblico, senza costringere il Comune a svendere il proprio patrimonio immobiliare. Non è passione, perché il sindaco ha ceduto le quote della Gesac in cui confluiscono gli introiti derivanti dall’aumento del traffico aereo su Capodichino, vale a dire una delle poche voci del bilancio destinate a crescere per via del turismo. Non è passione per la sua città quella di un sindaco che di anno in anno ha visto la situazione precipitare da un palazzo di cinquanta piani e, come nel film «l’Odio», ad ogni piano ripete: «Fin qui tutto bene», tanto il problema non è la caduta, è l’atterraggio.
Non è vera passione, infatti, quella che parla solo di se stessa, che impone la sua voce a tutti i costi per nascondere i tratti più arroganti e patologici dell’amor proprio. E in fondo quella del sindaco non è vera passione neanche per il Napoli. Ogni vero appassionato sa bene che prima di decidere se andare o meno allo stadio è obbligatorio consultare la complessa matrice statistica multivariata che ciascuno è tenuto a realizzare incrociando i dati relativi alla propria presenza sugli spalti con i risultati delle partite del Napoli. Ogni vero appassionato sa quando è il momento di starsene a casa, di fare autocritica, di mettere da parte le proprie pulsioni, di capire e agire di conseguenza. Non per se stesso. Per il Bene comune.