Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Cerlino, da boss in tv a scrittore «geniale»
Ebravo Fortunato Cerlino. Chi lo immaginava che dietro il volto feroce di don Pietro Savastano, il boss di «Gomorra - La serie», si nascondesse un fior di scrittore? Oserei dire che il suo romanzo esprime la stessa forza, maschile e parallela, dell’Amica geniale.
Anche qui, come nella Ferrante, c’è molta materia autobiografica. Il protagonista di Se vuoi essere felice (da oggi in libreria per Einaudi) si chiama come il suo autore e vive l’infanzia e la giovinezza in una periferia urbana degradata: siamo a Pianura, squallido lembo della napoletanità. L’orizzonte temporale è successivo rispetto alla saga ferrantiana, si sposta negli anni Ottanta. Ma c’è un sentimento ugualmente desolato dell’esistenza abbrutita da fatica e miseria, insieme alla difficoltà di comunicare sentimenti ed emozioni, dentro una quotidianità aspra e meschina, sebbene popolata da una variopinta umanità. Inoltre anche qui, come nell’Amica geniale, c’è il tentativo catartico di riscatto attraverso lo studio, la scrittura, la musica.
In ogni caso, al di là di ogni parentela o filiazione, è pur vero che la scrittura di Cerlino ha una sua innegabile originalità, come pure l’impianto della storia. Il suo romanzo di formazione è un tentativo assai ben riuscito di ricucire i pezzi della propria infanzia e adolescenza, visti da una prospettiva adulta. Fortunato diventato attore di fama — quello che, se va in strada, viene assillato dai fan di Gomorra in cerca di selfie — dialoga con il Fortunato bambino, capace di nascondersi per ore in un bidone maleodorante dopo uno scontro familiare.
All’interno di una cornice cronologica, lungo la quale seguiamo la crescita del ragazzino in una famiglia sulla soglia della povertà, l’autore colloca degli inserti narrativi che gettano luce sulla difficoltà di crescere nel far west di Pianura. Un episodio, ad esempio, riguarda il sogno di diventare cantante neomelodico. Fortunato e un suo amico decidono di andarsi a proporre a un’emittente locale e, sporchi e malvestiti, lungo la strada costruiscono pezzo per pezzo il proprio sogno, come la lattaia della favola. Via via che si avvicinano alla scalcinata televisione, i due ragazzini si lanciano in fantasie sempre più grandiose, pro- grammano vacanze, viaggi e una casa dove potranno finalmente avere un letto per ciascuno e smettere di dormire in quattro su un divano. Salvo poi a vedersi sbattere in faccia la porta. Di quell’episodio i due non parlano più, ma è chiaro che davanti a quella porta chiusa i due bambini perdono un pezzo della propria infanzia e della propria capacità di sognare.
D’altra parta la vita a Pianura negli anni Ottanta è così. Meno male che ci sono alcune consolazioni, sia pure magre e transitorie. Davvero notevole la descrizione della famiglia Cerlino in trasferta all’Euromercato. Un pezzo di autentica letteratura, dove il grande centro commerciale assume le sembianze di una bestia trionfante in agguato, da aggirare e combattere, da sfidare e vincere. Qui Cerlino abbandona del tutto gli stilemi abusati di una certa narrativa napoletana contemporanea, e si lancia con piglio postmoderno nel racconto epico ed esilarante di un corpo a corpo tra i ragazzini, capaci di fagocitare una dietro l’altra merendine e altre bontà in esposizione, e l’Euromercato che resiste agli assalti con i propri vigilanti, ma poi cede sfiancato come un grande cetaceo colpito a morte. Nonostante l’uso del dialetto, non siamo più necessariamente a Napoli, potremmo essere in qualche provincia degli Stati Uniti o ancora altrove. Segno inequivocabile di una scrittura che racconta con efficacia e universalità il nostro tempo. Meno riuscito, semmai, è il finale. Con lo scivolamento in una dimensione sentimentale e intimista che appare un po’ slegata dai segmenti precedenti. Per un esordio però di tutto rispetto.