Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Una storia sbagliata», il male dal fascismo al Dopoguerra
Ciò che più inquieta leggendo «Una storia sbagliata», saggio storico scritto a sei mani da Massimiliano Amato, Ottavio Di Grazia e Nico Pirozzi per le edizioni dell’Ippogrifo, è la conferma che il Male non sempre avviti la sua forza sul perno della banalità. Anzi, è più probabile che si compiaccia delle proprie astuzie, seduca l’altrui attenzione per esaltare il proprio impareggiabile protagonismo e conferisca puntuali motivazioni e finalità al proprio comportamento.
Non siamo qui ad analizzare ciò che il Male ha saputo orientare, da sempre, impugnando con decisione il timone della Storia. Ma ad imboccare il giusto sentimento della indignazione e a scuotere il muscolo atrofizzato della coscienza collettiva. Del resto, se non si risveglia l’energia vitale della memoria, soprattutto in questa fase di profonda anomia, si corre il rischio, come ricorda il monito di Santayana, che coloro i quali non ricordano il passato saranno condannati a ripeterlo.
L’Italia è un paese eternamente diviso che non ha mai amato fare i conti con il passato per evitare di specchiarsi nelle proprie responsabilità. Non lo ha fatto nel dopoguerra, per l’ansia di chiudere una stagione di atrocità e di vendette, e non lo ha fatto di recente, quando si è consegnata mani e piedi all’illusione di una palingenesi assurda fondata sulla cosiddetta rivoluzione giudiziaria di Tangentopoli.
In «Una storia sbagliata» si inseguono le scie di alcuni camaleontici protagonisti del nostro passato. Il maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, principale responsabile della disfatta di Caporetto, poi autore di efferati crimini di guerra, secondo l’Onu, per aver autorizzato l’impiego di gas tossici contro la popolazione civile in Libia ed Etiopia, ed infine a capo di un governo militare dopo la caduta di Mussolini.
Un altro personaggio dal doppio ed equivoco profilo è il napoletano Gaetano Azzariti che passò dalla presidenza del tribunale della razza a quella della Corte costituzionale: la sua storia controversa ha subito vertiginosi inabissamenti, dal fascismo al dopoguerra, tanto da essere chiamato a collaborare persino da Palmiro Togliatti, quando quest’ultimo assunse l’incarico di Guardasigilli nel governo Parri.
Il filo del racconto continua con il vescovo austriaco Alois Hudal che offrì protezione a migliaia di nazisti, fascisti e ustascia in fuga; il sottufficiale di Marina, Carlo Orlandi, e l’ammiraglio Gino Biancheri: entrambi sconosciuti personaggi allevati nelle pieghe della grande storia dove, spesso, si annidano le soluzioni ai tanti enigmi. Nel loro caso si trova la spiegazione di come centinaia di migliaia di ebrei nordafricani scamparono ai campi della morte nazisti. Ma è la riflessione finale sulla memoria, sulla sua elastica manipolazione, ad assestare il vero colpo allo stomaco. Dalla ritualità che finisce per edulcorare il ricordo; all’esercizio costante che serve, invece, a tenere allenata la fibra di ogni suo insegnamento. Poiché, come ripeteva la Harendt, la memoria ha davvero bisogno della nostra protezione per sopravvivere. Altrimenti saremo, prima o poi, tutti inghiottiti nel buco nero dell’oblìo.