Corriere del Mezzogiorno (Campania)
I MISERABILI HUGO, MISSIONE POSSIBILE
Al Mercadante va in scena lo sterminato romanzo francese diretto da Franco Però Protagonista Franco Branciaroli: «In un’opera di 1400 pagine si deve selezionare, noi evidenziamo il rapporto tra l’ex galeotto convertito e l’ispettore integerrimo»
Siamo a Napoli e penso a Eduardo, a La grande
magia, per esempio, un testo che se affrontato scavando in profondità come fece Strehler, va ben oltre la storiella di facciata, toccando complessità esistenziali senza tempo
«Jean Valjean? Un santo d’altri tempi, di quei peccatori per necessità, capaci di redimersi grazie alla fede cristiana. Ed è difficile trovare una simile figura angelicofaustiana in una società laicizzata e cinica come la nostra, finita in galera per il furto di un pezzo di pane. Forse, se proprio vogliamo, fatti i debiti distinguo, potrebbe essere una sorta di pentito che volge al bene i propri precedenti misfatti». Franco Branciaroli parla del suo personaggio, protagonista della versione de «I Miserabili» di Victor Hugo diretta da Franco Però, al debutto nazionale questa sera al Mercadante, dove resterà fino al 6 maggio.
«Un romanzo di 1400 pagine, così lungo e complesso che a teatro, come diceva Dostoevskij, non può che essere ridotto scegliendo alcuni temi o un singolo aspetto. Nel nostro caso il regista Franco Però ha evidenziato la centralità del confronto fra Valjean e Javert, l’ex galeotto convertito e l’ispettore integerrimo, un confronto che non è fra bene e male, ma fra bene e bene, quello religioso contro quello laico, quello dei buoni sentimenti contro quello della ragion di stato». Un punto di vista largamente dialettico che Branciaroli prova a estendere anche ad alcuni aspetti spesso sfuggiti ai più. «Valjean è davvero un uomo singolare, in tutta la durata del romanzo non ha nessun rapporto con una donna, un segno della sua purezza, di una castità che confermerebbe la sua santità. Unica eccezione quella di Cosette, che lui incontra quando lei ha solo 8 anni e che accompagnerà nella crescita come una sorta di padrino fino ai 16, essendone profondamente geloso. Materia che oggi scatenerebbe tutte le illazioni possibili».
Allestimento di un lavoro da relegare alla storia o carico di senso per il presente? «Reciteremo in costume – precisa subito Branciaroli – perché non è mettendo Amleto in una discoteca che lo si rende più contemporaneo. Anzi questa mania di aggiornare gli assi temporali crea più confusione che altro. Il problema sta nella capacità del pubblico di comprendere il valore di un’opera e in quello dell’autore di regalarle quel mistero dell’esistenza, che rende sempre vivo il teatro». E all’attore milanese non mancano esempi anche vicini. «Siamo a Napoli e penso a Eduardo, a La grande magia, per esempio, un testo che se affrontato scavando in profondità come fece Strehler, va ben oltre la storiella di facciata, toccando complessità esistenziali senza tempo. È difficile e per questo viene poco rappresentata. Ma varrebbe la pena provarci».