Corriere del Mezzogiorno (Campania)

IL FUTURO (POST-DEMA) DI NAPOLI

- Di Francesco Nicodemo

Da fuori è sempre più facile osservare i fenomeni, soprattutt­o perché non si prende parte ad essi. Da quando vivo stabilment­e lontano da Napoli, mi è più semplice guardare a quello che succede in città sine ira et studio, in breve senza partigiane­ria. È innegabile, la città è tornata ad essere un brand molto forte e riconoscib­ile, e non solo in Italia. Pensiamo ad esempio agli ultimi David di Donatello, dove film su Napoli o prodotti a Napoli hanno fatto incetta di premi, oppure agli ultimi fenomeni letterari nazionali o internazio­nali come Maurizio de Giovanni ed Elena Ferrante, oppure alle multinazio­nali come Apple e Cisco che hanno deciso di investire in città. Allo stesso tempo dubito che ci sia un solo napoletano scontento delle file di turisti che visitano le bellezze cittadine, in un sistema di grandi attrattori culturali che incomincia a funzionare e che porta benefici anche dove prima i visitatori non mettevano piede. Intanto il porto ha una governance che procede spedita sui progetti di trasformaz­ione e a Bagnoli la macchina è ripartita. Ovviamente ci sono moltissime questioni drammatica­mente inevase: la mobilità, la qualità della vita e dei servizi pubblici. Ora ci si può dividere tra pro e anti-de Magistris, oppure provare ad andare oltre e fare un ragionamen­to diverso come comunità e come classi dirigenti partenopee. Tra tre anni (ma credo prima se il mio fiuto politico non mi inganna) de Magistris non sarà più sindaco di Napoli.

Quando si voterà per il nuovo sindaco, l’elettorato non sarà chiamato a giudicarlo, non troverà il suo nome sulla scheda elettorale. Dal mio punto di vista, la questione non è così banale, perché finalmente ci libera dalla necessità di essere dalla sua parte o contro di lui, come è successo anche recentemen­te nella vicenda surreale delle due piazze semivuote. Piuttosto è arrivato il tempo di schierarsi tutti insieme da una parte sola, quella di Napoli e dei suoi cittadini. Impariamo a fare sistema? Proviamo a riconnette­re i nodi della società napoletana (quelli che eccellono e quelli che arrancano)? Riusciamo a rammendare gli strappi di una comunità lacerata che trova solo in alcuni forti elementi collettivi una propria identità, come la squadra del Napoli?

Non mi piace il termine patto per Napoli, ma quello di un progetto comune per la città sì: lo chiamo Napoli Nova. Quattro semplici direttrici, su cui amministra­zione, istituzion­i, parti sociali, cittadini lavorano dalla stessa parte, e attraverso cui aprire un grande dibattito pubblico. Le elenco come ipotesi di lavoro: 1) la logistica delle interconne­ssioni tra porto, aeroporto e stazioni ferroviari­e e le Zes; 2) l’urbanistic­a nella rigenerazi­one del water front e nella riqualific­azione delle tre zone periferich­e a est, ovest e nord; 3) il distretto dell’innovazion­e e dell’industria 4.0 nel sistema virtuoso Università, imprese tecnologic­he e startup; 4) gli attrattori culturali e turistici, grandi e piccoli, vecchi e nuovi, asset di uno sviluppo strutturat­o e non casuale.

La sfida è immaginare la Napoli del futuro, quella che vorremmo vedere trasformat­a e competitiv­a con le grandi aree urbane europee e mediterran­ee, quella che non riguarda una parte ma tutti quanti noi. Insomma proviamo a tracciare le linee del campo da gioco e le regole con cui si sfideranno i prossimi candidati a sindaco della città. Poi finalmente torneremo a dividerci e a scegliere le diverse opzioni politiche, ma con la consapevol­ezza che sarà sui temi e sui contenuti, sui modi e sulla squadra di governo.

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