Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Il di San Matteo e le altre chiese L’ itinerario del bello dall’anno Mille in poi
Dai Longobardi al barocco il cammino in cui alzando lo sguardo si ritrova il vero senso della propria esistenza
Siamo davanti alla chiesa di S. Lucia de Judaica, rivolta ad oriente, sul lungomare cittadino, un tempo intitolata a S. Maria de Mare perché nei pressi i pescatori salernitani si ritrovavano, tra un’imprecazione e un’Ave Maria, a riassettare le reti, nel gremito porticciolo fonte principale del sostentamento di un’antica città marinara. Iniziamo da qui la nostra passeggiata, dove i mercanti della Giudecca, rappresentanti di una vivace comunità ebraica, si dedicavano alle proprie attività commerciali. Lungo via Porta di Mare, ci inoltriamo nel dedalo dei vicoli, oggi illuminati, ma nei quali un tempo era difficile orientarsi se a fare da segnali stradali non ci fossero stati i ceri accesi dai devoti delle tante edicole votive, poste a protezione dei palazzi.
Mentre ci si lascia distrarre dagli scalfiti capitelli romani di colonne di spoglio incastonate tra i muri, ci ritroviamo di fronte la chiesa del Ss. Salvatore de Drapparia. Si tratta di un grazioso tempio a pianta centrale della confraternita dei maestri sartori, che custodisce sotto il pavimento una parte del calidarium delle terme pubbliche romane, resti di una città la cui fama per il clima salubre ha incuriosito anche il poeta Orazio.
Da via Mercanti ci immettiamo nel quartiere longobardo, dove, passando oltre il vicolo dei Barbuti e le decorazioni e gli archi intrecciati del XIII secolo di Palazzo Fruscione, ci ritroviamo di fronte S. Pietro a Corte, la cappella palatina del duca Arechi II. Superiamo l’area un tempo occupata dalla curtis dominica longobarda, non senza aver prima visitato gli scavi sottostanti che rivelano gli affreschi della precedente chiesa bizantina eretta sul Frigidarium termale, per giungere in piazza Sedile del Campo. Dietro la fontana vanvitelliana che insieme al campanile del Sanfelice della Chiesa della SS. Annunziata costituisce un valido esempio dell’architettura salernitana degli inizi del ‘600 - entriamo nel quartiere degli amalfitani che dedicarono al loro santo Patrono la chiesa fondata nel IX secolo, S. Andrea de Lavinia. Ci inerpichiamo nella città alta, fino a raggiungere la basilica di S. Maria de lama dove l’arte bizantina trova la sua espressione più felice negli affreschi ancora ben visibili nella basilica inferiore.
Potremmo continuare il nostro percorso salendo per via Tasso per raggiungere le prestigiose residenze delle famiglie nobili salernitane, nel Plaium montis. Qui ci si ritrova nello splendido Giardino della Minerva, orto botanico di Matteo Silvatico. Preferisco però accompagnarvi nel cuore del centro storico, verso via Duomo. Quasi a metà strada, superato un vestibolo, si rimane affascinati da una chiesa che è tutto uno splendore di ori, stucchi e dipinti: San Giorgio, vero gioiello d’arte barocca. Dentro ci sono due capolavori da museo: le tele del giovane Francesco Solimena e del padre Angelo. La chiesa era parte del monastero che accoglieva le monache benedettine in un regime di rigorosa clausura. Lungo via Duomo svetta il campanile del monumento più insigne della città, che costituisce la chiave di lettura della storia salernitana dopo l’anno mille. La vita della città si identifica, infatti, con quella della cattedrale, edificata nel 1080 e consacrata nel 1084 da Papa Gregorio VII, il pontefice della lotta alle investiture che è sepolto proprio nella cattedrale. Entriamo da un ingresso laterale nella cripta, uno scrigno di arte in cui, sotto l’altare bifronte, si venera il tesoro dei salernitani: le spoglie dell’Apostolo ed Evangelista Matteo.
Alzando lo sguardo, incor-
niciate dagli stucchi e dai marmi, ripercorriamo le scene evangeliche affrescate da Belisario Corenzio agli inizi del 1600. Salendo nella basilica maggiore, che si caratterizza per la sua pianta sul modello di Montecassino, i due amboni e il cereo pasquale si ergono al centro della navata davanti agli occhi del neofita che veniva introdotto, dopo il battesimo, nella celebrazione eucaristica. I motivi geometrici della pavimentazione musiva del presbiterio evocano l’idea di un giardino, quello al cui centro - ci dice l’evangelista Giovanni - sorgeva il sepolcro vuoto. Usciamo, varcando l’ingresso centrale, sigillato dalle porte bronzee ordinate a Costantinopoli, e giungiamo nel quadriportico romanico. Le tarsie policrome degli archi rivelano l’influenza orientale, arabeggiante, mentre dal mondo classico, sui sarcofagi romani, sono tratte le scene dei miti pagani, come quello del cinghiale Calidonio. Ma c’è anche il sarcofago detto del “Buon Pastore”,
Tele preziose
Nella chiesa di San Giorgio i capolavori del giovane Francesco Solimena e del padre
considerato un esempio di arte protocristiana. Quei di Salerno il lor lunato golfo, gli archi normanni, tutta bronzo e argento la porta di Guïsa e di Landolfo aveansi in cuore...:i versi di Gabriele D’Annunzio, scritti negli anni del suo esilio francese, celebrano le glorie salernitane su una lapide marmorea che ci invita a passeggiare sotto i portici della magnifica costruzione del principe Normanno. Non lasciatevi influenzare dagli storici che attribuiscono la monumentalità dell’opera al desiderio di gloria del Guiscardo. L’arte nel medioevo sa esprimere con chiarezza una visione antropologica oggi più che mai attuale: il Duomo si erge al di sopra di tutte le costruzioni circostanti perché solo “alzando lo sguardo” l’uomo ritrova il senso del suo esistere.