Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Quella sfida pericolosa tra i due «competitors»
L’antico e il moderno. Con molta approssimazione. E con ruoli scambiabili. Un confronto tra Luigi de Magistris e Vincenzo De Luca, al momento unici veri competitors sulla scena campana, contiene interne e insanabili contraddizioni, ed è pertanto rischioso.
Ma si può azzardare per tentare di capire l’evoluzione dei nostri tempi. Di sinistra ambedue. Diversamente comunisti. De Luca è figlio organico del Pci e delle sue trasformazioni fino all’annacquamento definitivo, de Magistris lo è per acquisita visione «benecomunista» del mondo.
Dirigente di partito e amministratore comunale il primo, al servizio della magistratura il secondo, prima di approdare agli attuali rispettivi ruoli di governatore e di sindaco. Temperamento e carattere variamente distribuiti. Tosti, sicuramente. Di quelli che non mollano mai. La bufera, che lo investì quando era il pm di Catanzaro che mandava gli avvisi di garanzia al presidente del consiglio, avrebbe distrutto chiunque, invece de Magistris cavalcò quelle turbolenze trasformandole in capacità di rimettersi in gioco fino a cambiare
addirittura mestiere. Più lineare il percorso di De Luca che fino alla conclusione dell’esperienza salernitana (è mai terminata?) competeva addirittura con il santo patrono della città fino a raccogliere, alla processione di ogni 21 settembre, più applausi e invocazioni della pur tanto venerata statua. Per quanto sia spericolato l’accostamento, si può grossolanamente dire che il bilancio delle loro attività precedenti registri differenze notevoli.
Del magistrato si sa che le inchieste, quasi sempre clamorose, pur partendo da intuizioni non peregrine, non hanno avuto tangibili conferme in aula. Sarà motivo di aspre polemiche e, per quanto possa esserci stato un fondo di verità nelle sue parole quando ha denunciato la congiura dei suoi colleghi contro le indagini che stava portando avanti, resta il dubbio se le stesse siano spesso naufragate per le altrui responsabilità o perché sia stato prevalente il conseguimento dell’obiettivo come e se non più delle prove. In definitiva è solo questo il punto non chiarito perché, per il resto, tenuto conto delle risonanze magnetiche che sono state fatte a lui, alla sua vita e a tutto quello che lo circondava, neanche un’ombra
sulla sua cristallina onestà. Tutt’altra musica per De Luca. Naturalmente non è in discussione l’onestà, anche se non sono mancate le inchieste, ma fino al loro esito finale l’argomento è fuori discussione.
Di certo, ha cambiato i connotati a Salerno. Ogni tanto si prova a dimostrare che questa mutazione sia di facciata e non di sostanza o che abbia snaturato il carattere della città fino a renderla appetibile per i turisti e poco vivibile per gli abitanti, ma è certo che la stessa non è stata ferma né preda del degrado così diffuso nei nostri territori urbani. Qui non si giudicano i risultati, si vuole soltanto constatare che le cose che lui annunciava le ha in gran parte realizzate. In una parola, la concretezza. Quando serve, più il Governatore che il sindaco, praticano il linguaggio colorito, ai limiti dello scurrile. Al punto, pur in tempi nazionali di volgarità sfuse e a pacchetti, da meritarsi l’attenzione degli italiani. Da un po’ si vede che De Luca, avendo evidentemente preso atto dei danni elettorali provocati con le sue uscite alla sua area politica, ha messo nel congelatore le fritture, lasciando de Magistris solo soletto sul trenino. Hanno, come tutti, famiglia. E si vede. Il fratello del sindaco è stato finora un suo fondamentale collaboratore. Ci sta. Se non si stima e ci si fida di un fratello su chi altri si può far più affidamento? De Luca dalla sua ha i figli, uno al Comune di Salerno per quanto dimessosi dopo l’inchiesta di Fanpage, l’altro fatto eleggere alla Camera.
Ricorda altre famiglie della politica, ma non sempre si verifica che i figli d’arte siano all’altezza dei genitori. Le differenze più significative – e sono quelle che davvero contano – si riscontrano nelle loro attuali pratiche di governo, nelle scelte e nei risultati. I contesti sono diversi. Intanto finanziari. De Luca, che dal giugno 2015, è presidente della Regione dopo Stefano Caldoro, non deve certo preoccuparsi di dover far fronte a ristrettezze finanziarie, che invece per de Magistris sono pesanti, per quanto alleggerite ieri dal “via libera” all’accordo sul “debito ingiusto” comunicato, sul filo di lana, dal governo Gentiloni pronto a fare le valigie. Il sindaco, però, è in carica dal 1° giugno 2011 e, quindi, di tempo per risanare i conti del Comune ne ha avuto non poco. Sono comunque confronti impossibili perché tra situazioni non omologabili. Ma De Luca, pur valutando il suo carattere, non avrebbe mai chiamato i cittadini a scendere in piazza. Né si sarebbe lamentato di congiure contro la sua amministrazione. Prendiamo la questione della disoccupazione giovanile. Il governatore, in attesa che le politiche nazionali siano rivolte a debellare questa piaga che affligge soprattutto il Mezzogiorno, non sceglie la strada, già percorsa negli anni a destra e a manca, di chiedere aiuti, sostegni, provvedimenti, interventi, piani, e poi aspettare, e poi ancora denunciare che nulla si è fatto, ma ha deciso con il suo ente di predisporre un piano straordinario per il lavoro ai giovani.
Non sarà la panacea, ma, conoscendolo, qualcosa farà e, se non si riproporranno i tradizionali risvolti clientelari, sarà una boccata di ossigeno in tempi di pessima respirazione. Dunque, i nostri due “uomini soli al comando” hanno cose in comune e sostanziali differenze. La maggiore di queste ultime, probabilmente è nell’essere uno populista e l’altro no. Ma questo attiene alla loro diversa formazione perché un partito, nel senso alto del termine, e la magistratura, il potere più delicato e inebriante di uno Stato, hanno poco in comune.