Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Pompei, l’affresco di «Adone ferito» torna alla luce dopo duemila anni
Rinvenuto il primo affresco mitologico del nuovo scavo Osanna: «Presto sorprese». Spunta il vero rosso pompeiano
APompei viene alla luce l’affresco di Adone ferito, il primo del nuovo scavo in atto nella Regio V. Il soprintendente Osanna: «Dipinto di gran pregio».
POMPEI Sul tragico epilogo dell’amore tra Venere e Adone si alza lentamente il sipario. Sulla parete della domus adiacente a quella di Giove, oggetto di scavo nella regio V dell’antica Pompei, si delinea la scena. Si tratta del primo affresco a tema mitologico emerso dal buio dei secoli nell’area del cosiddetto «cuneo», dove, grazie ai fondi del Grande progetto, è stato possibile aprire il primo importante cantiere di scavo dal Secondo dopoguerra ad oggi.
Millequattrocento metri quadrati, un’inezia se paragonati ai 66 ettari complessivi della città romana. Eppure si tratta di un immenso contenitore di reperti di inestimabile valore che il materiale eruttivo ha protetto e tramandato fino ad oggi, uno scrigno di preziose informazioni sulla città, sepolta dall’eruzione del 79 d.C, decodificabili grazie all’impiego di tecnologie sofisticate e, soprattutto, alla sensibilità e consapevo-lezza degli archeologi e tecnici attuali rispetto a quelle dei maldestri pionieri borbonici dell’archeologia europea. Con gli edifici, le pitture murarie, gli arredi, stanno infatti venendo alla luce anche le ferite inferte da questi ultimi. Pure l’affresco riportato ieri alla luce ha rischiato di venire travolto nel Settecento, quando si iniziò a scavare senza alcun metodo scientifico, attraverso cunicoli casuali che hanno provocato danni irreparabili al patrimonio storico e artistico del sito. A pochi metri di distanza si possono ammirare alcune straordinarie decorazioni che ripropongono il rosso pompeiano originale, vivo, ardente, non attenuato dagli agenti atmosferici nonostante le precauzioni adottate nell’Ottocento.
Sul cantiere è presente il direttore generale del Parco archeologico Massimo Osanna che non esita a mostrare «la trincea» borbonica, ovvero «il taglio brutale» che interrompe la serie di pitture e continua anche nella casa adiacente. «Si tratta - spiega il soprintendente - di scavi selvaggi senza alcun criterio, rivolti alla ricerca di oggetti mobili per dovevano ornare la Reggia di Portici e i musei di tutta Europa come scambi fra reali che dovevano esaltare la grandezza della casa reale». Anche il prezioso affresco è salvo solo per miracolo. Se il cunicolo settecentesco fosse stato scavato con un’inclinazione diversa, della preziosa, ulteriore, ma certamente non pleonastica, testimonianza dell’arte pompeiana antica non sarebbe rimasta traccia. La pittura muraria si trova all’interno di un’ambiente che si deve ritenere un cubiculum, cioè una stanza per il riposo, come dimostrano non solo le pitture murarie, ma, soprattutto, l’incastro del letto danneggiato proprio da un cunicolo borbonico che non ha risparmiato nemmeno una finestra che dava su un’ambiente di disimpegno. Il dipinto documenta gli ultimi istanti di vita del giovane dalla straordinaria bellezza, frutto dell’incesto del re di Cipro, Cinira, con la figlia Mirra. Venere se ne innamorò e lo avvertì dei pericoli che avrebbe corso se fosse stato troppo temerario. Adone non se ne curò e, durante una battura di caccia, fu mortalmente ferito da un cinghiale. Nell’affresco è parzialmente disteso, agonizzante, con la dea che, premurosa, cerca di assisterlo. Nella raffigurazione anche tre amorini che si affannano tutto intorno: uno di questi porge un bacile con dell’acqua, gli altri probabilmente degli unguenti, per lavare e lenire le ferite. Nell’antichità il mito di Adone era molto popolare e simboleggiava la natura che nasce in primavera e muore alle fine dell’estate. In altre due case di Pompei è raffigurata l’agonia del giovinetto assistito dalla sua amata. Celebre è la megalografia dell’Adone ferito presente nel giardino dell’omonima domus in via di Mercurio, restaurata tre anni fa. «Nella casa del Meleagro - ricorda Osanna - c’è poi un’altra iconografia simile per certi aspetti, ma anche molto diversa perché Venere è più vicina all’amato, non ci sono tanti amorini. Questa è senz’altro più complessa. È bello trovare uno schema nuovo utilizzato dai pittori in quegli anni». Sulla parte bassa delle pareti della stanza da letto anche la raffigurazione di un volto femminile e di un’altra scena, ancora da interpretare con un amorino con uno specchio e ancora una figura di donna. «I temi - osserva il soprintendente sono sempre quelli dell’amore e della bellezza che si addicono a un cubiculum di particola pregio proprio perché decorato in maniera straordinaria, con la cornice bianca e celeste dalla quale partiva la volta che copriva l’ambiente».
Lo scavo della domus riserverà certamente altre sorprese. «Fino al pavimento - fa notare Osanna ci sono ormai solo lapilli. E questo ci fa pensare che dovremmo trovare un ambiente intatto». Naturalmente, il suo auspicio non può che essere condiviso da chiunque avverta all’interno della città addormentata il fremito della vita e il gusto del bello.