Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Vite e sospiri delle signorine d’altri tempi In un saggio la letteratura rosa e la sua fortuna
Altro che letteratura d’evasione: i romanzi rosa erano anche strumento di conoscenza. Lo spiega Miranda Miranda in un saggio molto napoletano
Ngelo di Loburno, Gibus, Tuffolina, Chiquita: quattro autori della storica collana «la Biblioteca delle Signorine», la serie di romanzi dedicati alla letteratura femminile che la casa editrice Salani ha pubblicato dal 1912 agli anni Ottanta. Volumi tascabili con copertine accattivanti e titoli evocativi, oggi reperibili quasi solo sulle bancarelle di libri usati, che hanno fatto la fortuna del romanzo rosa in Italia.
Oltre allo stesso editore, questi nomi hanno un segreto in comune: sono tutti pseudonimi usati da Matilde Serao. L’autrice de Il ventre di Napoli, prima donna italiana ad aver fondato e diretto un quotidiano, smetteva di tanto in tanto la veste rigorosa della giornalista per dedicarsi alla letteratura commerciale. Fu proprio lei a firmare il primo volume della collana, il romanzo d’amore La mano tagliata, che inaugurò questa nuova moda editoriale. Ecco l’incipit: «Tutto chiuso nella preziosa pelliccia di lontra, fumando una fine e odorosa sigaretta russa, Roberto Alimena guardava distrattamente il facchino dalla blusa azzurra che, ritto nel compartimento di prima classe, collocava pazientemente sulla reticella i bagagli eleganti e ricchi del giovane viaggiatore, le valigie, i sacchi da viaggio, i portamantelli, le borsette di cuoio dalle cifre di argento: R. A.»
«La Biblioteca delle Signorine», uno degli esperimenti commerciali di maggior successo nella storia dell’editoria italiana, si fondava su alcuni elementi basilari della narrativa popolare: personaggi stereotipati e strutture narrative che si ripetevano senza soluzione di continuità volume dopo volume, come un algoritmo del successo librario. E sopratutto tanto, tanto romanticismo: giovani aristocratici impenitenti folgorati dagli occhi puri e dai candidi principi di lei; pudici rossori; sensuali fumate di sigarette turche su divani di broccato; marchesini in deliquio d’amore; crocerossine e maestre di scuola salvatrici della coesione sociale; lieto fine con matrimonio.
Un compendio di questa letteratura «minore» è offerto dal- l’esaustivo saggio Una vita da signorina (Scrittura&Scritture) di Miranda Miranda, docente di letteratura e storia nelle scuole superiori. La trattazione è scandita da brevi capitoli autobiografici in cui l’autrice, ripercorrendo un’infanzia trascorsa a compulsare romanzi rosa nella Napoli degli Sessanta e Settanta tra Materdei, il liceo Genovesi e gli Educandati Femminili Reali di Piazza Miracoli, rimarca il condizionamento che quei volumi avevano nella formazione di una giovane lettrice, quasi considerando se stessa un case study utile ad analizzare il fenomeno.
Il sottotitolo del libro recita: Viaggio nella raccolta più popolare della letteratura cosiddetta d’evasione. La tesi di Miranda sta tutta in quel «cosiddetta». Già, perché a leggere tra le righe di quei romanzi si ritrova, sepolto fra velluti e spasimi romantici, tutto l’humus culturale in cui hanno vissuto quattro generazioni di lettrici italiane. Pagine in cui, sullo sfondo delle storie d’amore, si poteva leggere la storia delle grandi rivoluzioni sociali in atto nella Belle Époque e successivamente nel primo dopoguerra, oltre ai mutamenti politici e del costume che il Paese attraversò in quegli anni. Così, in un tempo in cui alle «Signorine» era sconsigliato leggere persino i quotidiani, considerati troppo complicati e deprimenti per loro, la Biblioteca era uno dei pochi mezzi per tenersi aggiornate sui cambiamenti del mondo. Per non parlare dell’educazione sentimentale e sessuale, argomento bandito dal dibattito pubblico, di cui spesso le dirette interessate rimanevano all’oscuro. La patriarcale censura delle letture (vietatissimo anche D’Annunzio, naturalmente) non lasciava altro spazio, per parlare di certi temi, che quei volumi tascabili. Che diventavano, così, uno dei pochi strumenti a disposizione delle donne per comprendere e rielaborare la realtà che le circondava. Poi, anche grazie l’emancipazione degli anni Sessanta e Settanta, questa funzione si è persa e la collana, infatti, oggi non esiste più. Ma prima, quando scriveva «Chiquita», altro che evasione.
Autobiografia L’autrice intervalla la trattazione con inserti sulla propria esperienza di lettrice