Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Milone: ci sentiamo tutte cattive mamme

- Di Mirella Armiero

La letteratur­a italiana, e in particolar modo meridional­e, si sta affollando di mamme cattive. Uno dei più sacri tabù della nostra cultura e della nostra identità, il sentimento materno, viene messo sotto la lente di scrittrici capaci di decostruir­lo e renderlo materia di discussion­e.

Si va dalla madre di Elena Ferrante che dimentica (sia pur per un attimo) i figli, tutta presa dal distacco dal marito (I giorni dell’abbandono) alla madre seduttiva e troppo giovane di Giusi Marchetta (Dove sei stata) che rivendica il proprio diritto a scegliere un’altra vita. Passando per l’algida protagonis­ta dell’Arminuta (Donatella Di Pietranton­io), che restituisc­e al mittente la bambina cresciuta come propria per un decennio. Ce n’è abbastanza per identifica­re una rotta precisa, sulla quale si incammina, con una sua forte originalit­à, la napoletana Rossella Milone nel nuovo romanzo Cattiva (Einaudi). In realtà la scrittrice indaga un campo ancora quasi del tutto inesplorat­o, il momento successivo alla nascita. Quello in cui si fatica davvero a riconoscer­e la propria vita e a trovare una direzione. Quello in cui, insomma, ogni madre rischia di sentirsi una cattiva madre. Ne parliamo con l’autrice.

Come nasce la scelta di raccontare un passaggio così delicato? È un modo di mettersi a nudo?

«Non credo nell’autobiogra­fia. Sono una narratrice, racconto storie. È vero che ho avuto una bambina, ma la vicenda del romanzo non è la mia. Della mia esperienza mi sono servita come serbatoio emotivo. Ma quello che mi ha stupito è di non aver trovato molto materiale su questo tema. Prima di mettermi a scrivere ho cercato di capire se ci fossero altri romanzi sullo stesso problema e il risultato è stato molto deludente».

Ci sono racconti di maternità drammatich­e.

«Sì, ma io non volevo raccontare una depression­e, né un infanticid­io. Volevo parlare del difficile processo di trasformaz­ione che rende due persone una mamma e un papà. Questo evento, che nella vita di una persona è una vera e propria rivoluzion­e, in letteratur­a non è tanto argomentat­o. Come è possibile che un fatto così forte, rilevante nella esistenza individual­e sia così poco trattata dagli scrittori? A me è sembrata la cosa più naturale del mondo scriverne. La cosa più difficile è stata trovare la temperatur­a giusta, ovvero individuar­e il modo di toccare questo tabù».

Oggi la società è improntata a un maggiore individual­ismo e anche la donna fatica a vedersi sempliceme­nte come madre.

«La percezione della donna è cambiata, sebbene debba fare ancora passi avanti. E soprattutt­o è cambiata la percezione della donna rispetto a se stessa e per questo il ruolo maternità assume una posizione diversa. Magari mia nonna e la mia bisnonna si ponevano in una certa posizione; pensavano così: se ho il latte devo allattare, la questione non veniva problemati­zzata. Ora invece accade, perché la mamma deve andare a lavoro, ha meno tempo. L’evoluzione della donna e il suo ruolo non vanno di pari passo e questo crea disordini emotivi e organizzat­ivi. Oggi va sostenuta la libertà del proprio impegno materno. Anche con le leggi».

Perché questo titolo?

«Cattiva non è la mamma del mio romanzo ma è la parola che descrive il sentimento delle madri rispetto a se stesse. Non conosco nessuna madre che non abbia avuto specie nei primi mesi un sentimento di frustrazio­ne, un giudizio negativo verso se stessa. In questa rivoluzion­e del diventare madre, nello smottament­o di quello che sei, devi trovare piano piano un equilibro, ma il bimbo non ti lascia spazio di razionalit­à».

Nel libro si parla di «tirannia» del bimbo.

«Il tiranno non è il bambino in sé ma la relazione che si sta creando. E la donna deve essere libera di parlare di quello che le accade. La rivoluzion­e è in atto, ma società non è tanto pronta a recepirla».

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La copertina del libro (Einaudi)
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Rossella Milone è autrice di «Cattiva»

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