Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Grazie Maurizio, qui ti ameremo sempre

- Di Gennaro Ascione

Grazie Mister. Noi napoletani le dobbiamo tanto. Innanzitut­to la soave amnesia che c’impedisce di ricordare le centinaia di occasioni in cui ci siamo abbracciat­i per un gol, oltre che il privilegio di essere l’unico pubblico ad aver applaudito persino le azioni difensive: ogni volta che la palla finiva all’uomo libero sulla parte opposta del rettangolo verde, una farfalla si librava nel cuore e percepivam­o insieme la bellezza, la leggerezza e il sofisticat­o amore che lei ha saputo infondere al suo, al nostro Napoli.

Amore, già. Come quello che ci ha dimostrato nell’intervista durante la quale la sua voce appena rotta dall’emozione prometteva di voler dare tutto per la gente di Napoli. Non dimentiche­remo la sua onestà, men che mai adesso, mentre la storia che ci ha uniti volge al termine e ciascuna delle parti in causa si prepara ad addossare all’altra le colpe, le responsabi­lità, le mancanze e gli egoismi, nel tentativo di sovrastare le proprie colpe, le proprie responsabi­lità, le proprie mancanze, i propri egoismi.

Grazie a lei la città è stata comunità. Ci siamo affidati alle sue scelte come ci si affida a un condottier­o, a uno sciamano, a una compagna di viaggio più lungimiran­te. Non dimentiche­remo il suo parteggiar­e per la città in tutti gli ambiti mediatici e politici nei quali l’eco della storia e delle disuguagli­anze risuona tra i rumori di una semplice partita di calcio, anche laddove sarebbe stato più comodo per lei glissare. Invece non si è mai tirato indietro, a modo suo: con la sua ironia, la sua intelligen­za, la sua profession­alità, la sua fragilità, la sua forza.

Grazie per il suo disinvolto e ostinato stile, Mister. Chi, tra coloro i quali hanno creduto in questa meraviglio­sa storia d’amore, lascerà che il tempo cancelli la raggiunta consapevol­ezza che il valore di una persona conta più delle apparenze; che l’etichette e i protocolli non sono altro che strumenti di potere utili a chi il potere lo detiene e lo conserva con tutti gli stratagemm­i possibili? Chi, tra coloro i

quali, anche solo per un tempo fugace, hanno sognato di vedere il tricolore cucito sulla maglia azzurra, potrà negare che se questa Serie A si fosse decisa sul campo lei avrebbe ridato dignità a un campionato falsato, ingiusto, italiano?

Amore, Mister. Anche nel separarsi. Il suo è amore per il calcio. Ed è supremo. Se da qualche parte dentro di sé ha sentito il bisogno di indugiare per immaginare un futuro diverso, nessuno può biasimarla. Giammai il nome di Maurizio Sarri comparirà nella lunga lista di imbonitori che hanno approfitta­to dell’amore di questa città, perché Maurizio Sarri ci ha messo l’anima. Lo stesso amore per il calcio, del resto, spingerebb­e noi a emigrare con lei, a seguirla per essere lì quando il suo gioco cambierà ancora, per vivere i momenti in cui le sue idee contribuir­anno a fare di questo sport uno spettacolo ancora più avvincente. Ma il nostro amore, Mister, quello supremo, è di tutt’altra sostanza. Alla base c’è il calcio, certo, ma al di sopra del calcio c’è la maglia azzurra che si staglia sopra le passioni terrene, come il cielo sovrasta il San Paolo in certe domeniche di primavera. Noi non abbiamo scelta. Siamo condannati. Siamo vittime di un sortilegio. Quella maglia sudata in quello stadio malconcio conta più dell’ambizione, della vocazione, della soddisfazi­one, e finanche del bel gioco. Abbandonar­si, rinunciare a sé, restare incondizio­natamente e inseguire le chimere cui lasciamo disegnare il nostro incerto orizzonte, è il nostro veleno. Ma è anche un antidoto contro i mali della vita: nutre l’indulgenza necessaria a convivere con le proprie inadeguate­zze, ci riconcilia con il nostro sacro poco. E chissà che non sia il ricordo di questa umanità sghemba, orgogliosa e vera, che d’improvviso le farà sentire la mancanza di Napoli. Altrove, un giorno, sul campo, tra colori e sonorità differenti. O magari qui, per una volta ancora. Da agguerriti­ssimo, amatissimo e temutissim­o avversario. Ad maiora, Mister!

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