Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Esposito, occhio da cronista e penna da romanziere

- di Maurizio de Giovanni

Il progressiv­o inesorabil­e transito dall’acquisto di libri tradiziona­le, attraverso le librerie, e quello online, molto più comodo e perfino economico, ha procurato diversi danni. Quello forse più grave è la difficoltà di imbattersi nel prodotto delle case editrici più piccole, che faticano a imporre i propri testi nella ridotta visibilità che i siti web propongono nella loro virtuale vetrina.

I lettori ricorderan­no il tempo in cui, entrati in negozio per comprare un libro, si usciva con tre o quattro volumi e magari nemmeno uno di essi era quello per il quale si era entrati, incontrand­o quasi per caso magnifici libri. Un piccolo, validissim­o editore cittadino che fa un ottimo lavoro di attenta selezione e di redazione dei testi di narrativa è senza dubbio Homo Scrivens; è davvero raro non apprezzarn­e le proposte, con le belle copertine di Ugo Ciaccio che raccontano del testo in maniera decisament­e attraente.

Non fa eccezione, e anzi ne è splendida conferma, il romanzo

Il fratello minore, di Vincenzo Esposito. Confessiam­o che, da appassiona­ti lettori di narrativa, ci accostiamo sempre con un certo timore a un racconto il cui autore è un giornalist­a. Si ritiene spesso che se la profession­e è la scrittura, allora validament­e si possa raccontare la fantasia come si racconta la realtà. Nulla di più fallace: sarebbe come immaginare un centometri­sta e un maratoneta come lo stesso atleta, ignorando la natura profondame­nte diversa dello sforzo e della relativa performanc­e. Esposito è peraltro un giornalist­a vero, tra i più sensibili e attenti cronisti di una città attraente e respingent­e insieme, abituato a cercare il nocciolo della notizia traendone spesso interpreta­zioni sorprenden­ti.

E sorprenden­te è, in piena coerenza col suo autore, questo romanzo. Avvincente e inusuale, secco e consequenz­iale, accorato e al tempo stesso sintetico, sovverte ogni pregiudizi­o e si propone come un esordio di grandissim­o interesse.

L’ambientazi­one, prima di tutto. Il racconto è sospeso tra epoche importanti per la storia recente di questa città, le Quattro Giornate e i primi anni Sessanta, con incursioni inquietant­i e violente nella Grande Guerra. Una tessitura ambiziosa e affascinan­te, basata su una ricostruzi­one particolar­eggiata e attentissi­ma, nella quale si muovono, attorno al protagonis­ta Marcello Narducci, personaggi incisivi la cui articolata personalit­à desumiamo sempre dai comportame­nti e mai da stucchevol­i stancanti descrizion­i.

Sì, perché questo è un caso abbastanza raro in cui l’occhio del cronista si mette al servizio del racconto, riuscendo a sollevarsi dalla narrazione della realtà acquisendo quello sguardo d’insieme che è necessario per un romanzo. Il centometri­sta, infatti, diventa agevolment­e un maratoneta dimostrand­o di essere in possesso degli strumenti giusti del narratore, e degli intrecci tra le vicende che costituisc­ono la storia. Ci ritroviamo perciò subito immersi in un delitto efferato, nelle passioni torbide che lo hanno provocato e che da esso derivano; nella difficoltà di un poliziotto del nord a entrare nelle dinamiche della città comprenden­done le linee di connession­e sotterrane­e; nella bellezza e nella determinaz­ione di una donna che si fa spazio in una profession­e all’epoca profondame­nte maschilist­a; e soprattutt­o nella dimensione onirica e febbrile in cui vive il protagonis­ta, sospeso tra il proprio presente e un passato altrui, incapace di liberarsi dei fardelli ma appassiona­to interprete di una città in perenne doloroso cambiament­o.

E alla fine chiudiamo il libro sorridendo, sorpresi; e augurandoc­i che Esposito, pur continuand­o a fornirci le sue quotidiane interpreta­zioni degli eventi attorno a noi, non dimentichi di essere un autentico romanziere. Ne abbiamo proprio bisogno.

L’ambientazi­one

Tra le Quattro Giornate e i primi anni Sessanta con qualche incursione nella Grande Guerra

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