Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Test genetici, la prima diagnosi del feto
L’amniocentesi e la villocentesi sono considerate tecniche efficaci ma invasive Negli ultimi anni si è sviluppata l’analisi prenatale del dna sul sangue materno
Nel corso della gravidanza ai normali controlli periodici per valutare l’evoluzione della gestazione, si possono aggiungere i test genetici. Dal risultato di questi esami è possibile sapere se il feto presenta alterazioni cromosomiche. «Quello delle malattie genetiche, soprattutto dal punto di vista di quelle rare, è un campo di ricerca che negli ultimi 10 anni è andato molto avanti, perché sono aumentatele conoscenze, e miglioratela tecnologie », spiega Nicola Brunetti Pierri, professore associato di Pediatria alle Federico II di Napoli e ricercatore del Tigem di Pozzuoli, che si occupa di malattie genetiche. Le analisi prenatali più diffuse sono l’amniocentesi e la villocentesi, come chiarisce il professore: «Si tratta di due procedure che consentono di prelevare del materiale del feto, che può essere analizzato per effettuare i vari test genetici. Sul campione a disposizione, si fanno analisi come quella del cariotipo che consiste nella visualizzazione dei cromosomi e un altro test che si chiama Array CGH, per identificare le anomalie cromosomiche». Da questi test si può valutare la presenza di alterazioni a livello dei cromosomi, come ad esempio la trisomia 21, quella responsabile della sindrome di Down.
L’amniocentesi e la villocentesi sono considerate tecniche efficaci, ma invasive. Negli ultimi anni però sono stati sviluppati nuove tipologie di esami. «Un test come il NIPT- aggiunge Brunetti Pi erri -, che sta per “non in vasi vepreanat altesting”, cioè test prenatale non invasivo, consente di isolare dal sangue materno del dna fetale e su questo campione è possibile fare l’analisi di alcuni difetti cromosomici. Quindi, basta un prelievo di sangue per ottenere una parte dei risultati che si avrebbero anche con l’amniocentesi. Con questa metodologia si possono individuare le al- terazioni cromosomiche più comuni, oltre alla trisomia 21, anche altre anomalie dei cromosomi 13 e 18, che sono responsabili di malattie molto più gravi nel feto associate a malformazioni multiple e anomalie dei cromosomi sessuali, ad esempio la sindrome di Turner e quella diKl in ef el ter, cioè alterazioni deic rom osom iX e Y ».
Se questi sono gli esami che si possono fare durante le 40 settimane dell’attesa, altri si può scegliere di farli prima, quando si è consapevoli di avere una storia familiare di malattie genetiche.« Prima della gravidanza- continua il professore- è possibile stabilire, nel caso ci siano stati precedenti in famiglia di malattie genetiche, se i genitori sono portatori sani. Il caso più comune è quello della fibrosi cistica, che è una delle malattie genetiche più frequenti. Se c’è un familiare affetto da questa patologia, un futuro genitore può verificare se è portatore. Nel caso lo fosse, sarebbe opportuno che anche il partner facesse lo stesso esame, perché se entrambi i genitori sono portatori sani si ha una probabilità del 25% di avere un figlio affetto».
Questi accertamenti, sia prima che durante la gravidanza, non sono però obbligatori, ma facoltativi, infatti, sottolinea il ricercatore: «I test genetici vengono offerti alle donne in gravidanza e poi sono loro a dover scegliere se effettuarli o no. È molto importante informarsi ed essere consapevoli del significato di queste analisi, perché comportano una diagnosi fatta prima della nascita e, in alcuni casi, è su questi esiti che si prendono decisioni importanti».
Fibrosi cistica
Con genitori portatori sani c’è il 25% di probabilità di avere il figlio malato