Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Progetto Smack e chemiotera­pia Quando donare i capelli ti fa più bella

L’iniziativa dell’associazio­ne Underforty per le pazienti

- Di Alessandra Caligiuri

Per contrastar­e le ripercussi­oni sulla psiche dell’effetto più comune della chemiotera­pia, la perdita dei capelli, l’associazio­ne Underforty ha dato vita al progetto S.m.a.c.k. L’acronimo vuol dire: still marvellous after cancer knock, cioè “ancora meraviglio­sa dopo la percossa del cancro”.

Guarire dal tumore al seno, infatti, per una donna significa anche vedere la propria immagine riflessa nello specchio e percepire che la normalità sta tornando. «L’idea, messa in pratica grazie alla dottoressa Emanuela Esposito, nasce per venire incontro alle esigenze delle donne che sono costrette a sottoporsi a chemiotera­pia, per consolidar­e il loro percorso di guarigione dopo l’intervento chirurgico. Si stima siano in media più del 40% le pazienti che ricorrono a questo trattament­o. Il progetto ha l’obiettivo di aiutare le donne a mantenere intatta la propria immagine durante tutto il percorso della cura», spiega Massimilia­no D’Aiuto, chirurgo oncologo senologo, direttore scientific­o della Onlus che si occupa della prevenzion­e del cancro alla mammella nelle giovani donne.Per aderire all’iniziativa si possono donare i propri capelli, ci vogliono ciocche di almeno 25 centimetri tagliate pari e di un unico colore, anche tinte. In cambio l’associazio­ne donerà gratuitame­nte alle donne con basso reddito, che ne faranno richiesta al proprio medico di base certifican­do l’Isee, una parrucca inorganica.

«I capelli artificial­i hanno un costo molto alto e spesso – continua D’Aiuto –le donne non se la sentono di sacrificar­e alla famiglia una cifra, che sta intorno ai mille euro, per un periodo che di solito va dai 2 ai 6 mesi». Questa scelta, dettata da necessità economiche, può avere delle ripercussi­oni sulla psicologia delle pazienti, infatti, la perdita della propria immagine obbliga a dover parlare di ciò che si sta vivendo. Una situazione non facile, perché, aggiunge il direttore scientific­o: «Se la fase dell’intervento chirurgico si può nascondere, la perdita dei capelli no. Molte volte doverlo raccontare fa sentire la persona inadeguata non soltanto nella sua femminilit­à, ma anche nel suo ruolo sociale. In quest’ottica bisogna considerar­e che se le donne si ammalano giovani, si deve comunicare con la caduta dei capelli la diagnosi ai propri figli. Sono argomenti molti complessi da affrontare quando i bambini sono piccoli».

Il progetto S.m.a.c.k. dell’associazio­ne Underforty non ha intensione di fermarsi qui. La volontà è quella di promuovere un percorso complessiv­o che arrivi a comprender­e più in generale lo stile di vita.

«Per ridurre il rischio di recidiva e di ammalarsi di un altro tumore serve prendere in consideraz­ione anche il supporto psicologic­o, l’attività fisica e l’alimentazi­one. L’aiuto psicologic­o serve per dare alla paziente la percezione della reale guarigione, spesso, infatti, si supera la malattia fisicament­e, ma si resta ammalati perché ci si porta dentro la paura di poter stare di nuovo male. Oltre a questo, aiuta a superare l’evento traumatico che il tumore rappresent­a e a metabolizz­arlo in famiglia, a ritrovare la comunicazi­one di coppia e con i figli. Sono tutte cose che purtroppo incidono sulla qualità della vita. L’alimentazi­one e una corretta attività sportiva, intensiva e controllat­a, secondo gli studi scientific­i prevengono il ritorno della patologia», dice D’Aiuto.

Questi tre interventi devono agire insieme, quasi a dimostrare che non c’è recupero fisico che non passi per la mente e viceversa.

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Massimilia­no D’Aiuto chirurgo oncologo senologo

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