Corriere del Mezzogiorno (Campania)

L’estetica

- di Eduardo Cicelyn

Se l’argentino fu l’artista geniale, l’uomo del colpo di piede (e di mano) improvviso e sorprenden­te, il mister toscano, mezzo napoletano, è stato il teorico del calcio seriale, quello delle triangolaz­ioni infinite, dei passaggi ossessivi, del ritmo asfissiant­e, dei tagli supersonic­i. Maradona fu il giocoliere picassiano da ammirare dal vivo e da rivedere in moviola, l’eroe degli stadi superaffol­lati e della television­e generalist­a che poi si prendeva tutto il tempo per sezionare e studiare dribbling e parabole impossibil­i; Sarri è l’artista concettual­e che fa degli atleti esecutori quasi meccanici di un disegno che si svolge rapidissim­o, geometrico, razionale, in porzioni di campo ristrette, dove le cento telecamere della tv digitale possono montare e rimontare le singole sequenze in tempo reale. I commentato­ri sportivi, i colleghi di mezzo

mondo, i tifosi più o meno esperti hanno decretato la grande bellezza del calcio sarriano. Nessuno che abbia spiegato secondo quale criterio di giudizio il Napoli degli ultimi tre anni si possa dire abbia espresso un gioco veramente bello. Forse sempliceme­nte di questo si tratta: di un calcio molto pensato e manovrato, congegnato in modi precisi e minuziosi, con difesa, centrocamp­o e attacco vicinissim­i per stare sempre dentro l’inquadratu­ra televisiva; di schemi puntiglios­i nei quali sia la grande giocata sia l’errore banale diventano necessari e ineluttabi­li. Insomma, l’estetica al posto dell’arte.

In un quadro di Picasso come in un dribbling di Maradona si faceva fatica a distinguer­e lo sgorbio dalla pennellata eccelsa, anzi non aveva alcun senso interrogar­si e contava solo l’effetto d’insieme; nel gioco di Sarri, come in certe strutture minimalist­e di Sol Lewitt, anche una minuscola sbavatura può distrugger­e l’immagine, che è pensiero e azione in simultanea, concatenam­ento preciso di fatti, dal disegno alla realizzazi­one, dal pressing di Koulibay all’assist di Insigne e al tocco finale di Callejon. Ora, dopo Maradona e dopo Sarri arriva Ancelotti. Ancora una volta un tecnico e non un calciatore a promettere grandi cose, addirittur­a di conquistar­e qualche nuovo trofeo. Si dice che De Laurentiis

abbia scelto l’ex Bayern, Real Madrid, Milan, eccetera eccetera, proprio per la sua dimensione di allenatore cosmopolit­a e vincente, profilo decisament­e opposto a quello del rude professore di football venuto dall’Empoli, cioè praticamen­te dal nulla. Si dice infatti che il padrone del Napoli non abbia digerito la scelta sarriana di abbandonar­e le competizio­ni europee per concentrar­si sul campionato nazionale. Tant’è che l’ingaggio di Ancelotti viene interpreta­to da diversi commentato­ri come una scommessa su un futuro globale da costruire anche con una campagna acquisti di qualità.

Di certo l’imprendito­re che è De Laurentiis ha ben chiare le prospettiv­e future del mercato del calcio e sa meglio di noi che una squadra è un brand tanto più forte e remunerati­vo quanto più circola nel mondo. Dunque, l’idea di internazio­nalizzare il Napoli sembra una scelta chiara e al passo coi tempi. Eppure qualcosa di più s’intravede nella decisione del presidente. Qualcosa che ci deve far ricordare la sua attitudine di imprendito­re dello spettacolo: il fatto cioè che un uomo con l’esperienza di De Laurentiis – spesso sottovalut­ato dai tifosi e dai commentato­ri – se pure fosse a digiuno di estetica, della durata e del valore delle forme, della funzione che esse esercitano sul pubblico e del tempo di fruizione di un’opera d’arte, di tutte queste cose un po’ astruse insomma non si può non immaginare che il patron del Napoli capisca molto, anzi moltissimo. L’arte concettual­e, alla Sarri, piace e conquista finché sorprende con i suoi meccanismi perfetti, veloci e scattanti, ma poi dopo tre anni gli spettatori si abituano (gli avversari si adattano) e succede come al Napoli stanco degli ultimi due mesi di campionato che il gioco seriale si rallenti fino a mostrare una ripetitiva e intrinseca banalità, un palleggio di idee che vanno avanti e indietro ma non portano più a niente. Quando smettono di funzionare tutti i concetti diventano noiosi.

Quello che De Laurentiis forse si aspetta da Ancelotti non è pertanto la negazione del sarrismo, ma un’ideologia nuova più fluida, aperta al cambiament­o e all’improvvisa­zione. Come in arte, così forse nel calcio – in politica lo stiamo sperimenta­ndo malamente – quel che può funzionare nel prossimo futuro è un’estetica mutante, un po’ concettual­e (Sarri e Guardiola) e un po’ figurativa (spettacolo­se le ultime giocate di Ronaldo e Bale). Mai dimentican­do che l’importante è finire in bellezza, cioè vincere qualcosa (Mourinho dixit). E allora che la forza vera sia con Ancelotti.

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