Corriere del Mezzogiorno (Campania)
L’incontro borghese e le suggestioni operaie
Sto aprendo il cancelletto esterno; dà sul giardino condominiale rinvigorito dalle piogge. Negli ultimi anni una colonia di scoiattoli grigi, venuti non si sa da dove, è proliferata in modo esponenziale. Nel verde di questa strada scalzeranno presto, come numero, le antiche popolazioni stanziali: corvi, gazze, merli. Mentre estraggo la chiave, un’ombra alle spalle. Il suo sussurro, delicato.
«Posso entrare?».
Il tempo di voltarmi: una ventenne semplice, aggraziata; indossa una camicia azzurra portata fuori dai jeans senza sdruciture. Sottobraccio un pacco di giornali, si direbbe. «Certo. Venga».
Sono abituato ai ben più disinvolti distributori di volantini che citofonano in maniera sistematica per farsi aprire disposti, se necessario, anche a scavalcare la cancellata. Rappresentano l’ultimo e più malconcio gradino della filiera produttiva; i loro pieghevoli dalle cromie acide verranno cestinati, appena prelevati dalle cassette della posta.
«Noi», tiene a precisare questa giovane donna carina, compita, «noi diffondiamo la stampa comunista».
Diffondere: come il Verbo. Probabilmente è speranzosa non solo di affibbiarmi una copia della sua pubblicazione ma addirittura, chissà, di convertirmi. Istintivamente mi chiedo: dove saranno le sue coetanee a quest’ora, di venerdì pomeriggio? In palestra. O convergono per l’aperitivo. O si staranno fotografando il culo in bagno. Lei, invece, ha tutta l’aria di una ragazza disciplinata. Intanto le cedo il passo, arrivati all’ascensore. Le donne giovani, disabituate alla cavalleria che presto verrà bandita come sessista, in casi del genere hanno sempre paura che uno voglia pugnalarle alla schiena. Passo per primo, allora: difficile contrastare da soli la propria epoca. Nello spazio limitato della cabina ho modo di mettere a fuoco i volumi regolari del suo viso, la purezza dell’incarnato, i capelli lunghi e lisci che profumano di shampoo.
«A che piano va? Al primo, immagino».
Negli occhi le brilla un’ingenua furbizia.
«No, grazie: al decimo». Mi mette a parte del suo piccolo stratagemma. Esplicativa, didascalica.
«Noi saliamo fino all’ultimo piano con l’ascensore. Poi scendiamo a piedi e bussiamo piano per piano. Così, almeno, non ci riduciamo tutti sudati».
Mi piace, quest’ultimo tocco. Denota l’amor proprio di chi non vuole presentarsi madido alla porta del prossimo. A parte tutto, un aspetto decente desterà una favorevole impressione nei condomini. Si tratta, in buona misura, di ex impiegati e quadri della Grande Fabbrica: pensionati che, per una vita, uscivano al mattino in giacca e cravatta. Anche ora, ritirati dal lavoro, non si sono lasciati andare, conservano un forte senso di dignità personale (sebbene la Grande Fabbrica li abbia delusi diventando, da sabauda, cosmopolita).
«Sono arrivato. Allora buona diffusione».
Chiudo la porta di casa alle spalle, ma non basta. Pochi centimetri di legno e blindatura non bastano a sospingere la ragazza fuori dalla mia testa e a tenervela fuori. Com’è la sua vita? Penso che i suoi genitori l’abbiano amata, senza genuflettersi. È figlia unica? Qual è la sua estrazione sociale? Impiegati, operai, artigiani? Ad occhio e croce – non sono un mago – credo che abbia concorso a formarla una pedagogia familiare imperniata su quei valori ridicolizzati dai forzati del cazzeggio imperanti, con i loro acefali seguaci, in Rete. Sacrificio. Dignità. Altruismo. Rispetto. Senso del limite. Necessità di dare senso a ciò che siamo e facciamo. Non mi dispiacerebbe scrivere su di lei: ha la forza seminale per farsi trasfigurare in personaggio. Per parte mia sono qui che l’aspetto. Mi concentro sul trillare di campanelli a vuoto che riecheggia per le scale. Le porte dei piani superiori, ostinatamente, non si aprono. Per la giovane attivista è un’impresa disperata evangelizzare in uno stabile sonnolento, rigidamente apolitico. Così questo vano bussare scende di rampa in rampa, con il suo nulla di fatto. Fino alla mia porta, l’unica a spalancarsi. La ragazza sembra rinfrancata: rimango l’unica speranza di smerciare almeno una copia. La sua pubblicazione ha questa grafica artigianale e pesante, una foliazione ridotta all’osso. Non importa: odio deludere. Perciò acquisto l’ultimo numero di LOTTA COMUNISTA. Il che mi fa sentire in diritto di offrirle qualcosa da bere. Non credevo che accettasse, evidentemente il proselitismo prevale anche
sull’istinto di conservazione. Io potrei, come niente, essere un farabutto di buone maniere che ha diluito del sonnifero in questo succo di frutta. Viceversa sono solo un nostalgico che ha bisogno, ogni tanto, di rinverdire le figure della sua epoca (ecco: questa ragazza mi piace perché è leggermente anacronistica; dunque una mia contemporanea). Le racconto un po’ di cose, che lei si acconcia ad ascoltare con la pazienza doverosa di chi è in debito. Parlo degli operai che - elmetto in testa, guanti da lavoro e manici di piccone al piede – picchettavano il mio turbolento liceo, nei ‘70. Non li ho mai odiati. Perché erano degli adulti, dei padri di famiglia. Perché era gente seria, dura, callosa: non dei figli di papà. La nostra contrapposizione non aveva nulla di personale; era virile, dunque impersonale (la ragazza ha aggrottato la fronte. Pensi quello che vuole). La classe operaia menava; la classe operaia era composta da padri. La classe operaia aveva una robusta coscienza e un credo forgiato nella durezza dell’acciaio. Gente responsabile quanto io e miei amici eravamo irresponsabili, giocando alla guerriglia civile. Alcuni di loro erano autodidatti, formiche della conoscenza capaci di applicazione e disciplina. La ragazza è esterrefatta: non ha mai sentito simili ditirambi sulla classe operaia, per di più da un borghese con troppi Adelphi in libreria. E ora? Le racconto che quest’estate mi hanno fatto visitare un ex stabilimento dismesso, nelle campagne della seconda cintura. Ogni tanto un tamtam - di quelli che bruciano le pianure – richiama moltitudini anche da altre regioni, per dei rave-party. Musica assordante come altoforni; i partecipanti ottenebrati dalle sostanze.
È tardi, si scusa la ragazza lievemente allarmata. Riprende la sua bracciata di copie, si accomiata per completare il proprio giro. Di nuovo solo, mi sono affacciato al vano del balcone. Negli ultimi anni una colonia di scoiattoli grigi, venuti non si sa da dove, è proliferata in modo esponenziale. Presto scalzeranno, come numero, le antiche popolazioni stanziali di corvi, gazze, merli. Allora nulla sarà più come prima.