Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Mezzogiorno di fuoco con Lezzi e il generale
Jean-Claude Juncker non è un tipo simpatico, per molte ragioni. È un politico di lunghissimo corso, da un quarto di secolo ai vertici dell’Unione europea, ex premier di un paese del Nord, il Lussemburgo, sempre pronto a fare la lezione agli altri ma che ha prosperato come «paradiso fiscale». Ogni tanto sbrocca e la stampa inglese, sempre attenta a questi dettagli, dice che è perché ha un gusto eccessivo per il vino. E però Juncker non ha detto nulla di sbagliato qualche giorno fa quando, rispondendo a una domanda sulla condizione del Mezzogiorno d’Italia, ha detto che si è stufato che se ne dia la colpa all’Europa, e che risolvere il problema spetta a noi.
«Sono gli italiani che devono prendersi cura delle regioni più povere del loro paese: il che significa più lavoro, meno corruzione, serietà». Il Guardian aveva reso in altro modo, più offensivo per noi, queste parole, provocando reazioni sdegnate soprattutto dei sovranisti nostrani, ormai al governo. Ma nel loro significato letterale corrispondono al vero. È stata infatti l’Europa, ovviamente anche con i soldi degli italiani, ad aver favorito nei decenni un riavvicinamento delle regioni periferiche del continente alle aree più ricche, perseguendo l’obiettivo della coesione sociale con ingenti investimenti. Ma mentre altre zone d’Europa, dal Portogallo alla Polonia, sono state trasformate da questi interventi, il divario Nord-Sud in Italia è rimasto e anzi si è aggravato con la doppia recessione iniziata nel 2008. Dunque il problema è qui, in Italia. E anche qui, nel Mezzogiorno.
Non sempre i nostri governi hanno fatto abbastanza perché quei fondi venissero spesi e spesi bene. L’ultimo gabinetto Berlusconi distolse addirittura la sua parte di cofinanziamenti per destinarli a un taglio fiscale sul lavoro. Utile certo, ma più favorevole al Nord, dove il lavoro c’è.
Ma bisogna anche dire che il governo può poco in materia di utilizzo dei fondi europei. Perché — e qui starei per dire purtroppo — i centri di programmazione e spesa sono le Regioni, e più che provare a coordinare Roma non può fare. Vengono invece in primo piano le inaudite lentezze, incapacità, corruttele, che affliggono da sempre l’utilizzo di quei fondi da parte delle Regioni del Sud, che sprecano straordinarie occasioni di sviluppo non spendendoli, o spendendoli male e in maniera clientelare.
Pensate alla Campania. Ad aprile 2017 per ogni euro di spesa certificata nella nostra Regione, la Lombardia ne aveva già spesi 130. Entro fine anno la giunta De Luca dovrebbe utilizzare 600 milioni della programmazione 20142020, altrimenti dovrà restituirli, perdendoli. Al punto che l’ex ministro del Mezzogiorno, De Vincenti, ha inviato una lettera formale, invitando la Campania a rivolgersi alla Agenzia della coesione per farsi aiutare. Invece il rischio è che, nella fretta di spendere, ci si inventi in zona Cesarini una serie di micro progetti di finanziamenti a pioggia, finendo con lo spendere al solito modo: clientelare e improduttivo. Lo fece anche la giunta Caldoro per la programmazione 20072014, e su questo la Corte dei Conti ha aperto una verifica.
Questa è la situazione. E non è probabile che migliori. Da sabato abbiamo un nuovo ministro del Mezzogiorno, nella persona della pentastellata Barbara Lezzi, e non vedo ragioni per essere ottimista. Non solo e non tanto per la personalità del ministro, senza alcuna esperienza amministrativa; nota più per la sua combattività televisiva, per essere stata sfiorata dal presunto scandalo delle mancate restituzioni delle note spese, e nonostante
questo per aver stracciato nel collegio di Nardò nientedimeno che Massimo D’Alema. Ma anche perché il governo e il M5S, che pure tanti voti ha preso al Sud, non sembrano avere alcuna idea di sviluppo per il Sud. Anzi, il Movimento è afflitto da una idiosincrasia genetica per le opere pubbliche e le infrastrutture, che sarebbero invece l’unico possibile volano di sviluppo, se si sapesse sfruttare l’unico investimento disponibile, quello europeo.
In attesa del miraggio del reddito di cittadinanza, già posticipato è un po’ annacquato, temo dunque che il Mezzogiorno continuerà ad essere di fuoco.
Più speranze accende la nomina di Sergio Costa al ministero dell’ambiente. Il generale della Forestale, passato suo malgrado e un po’ recalcitrante ai Carabinieri, è stato uno degli «scopritori» della Terra dei fuochi, e a quel disastro ha rivolto ieri su Facebook il suo primo pensiero. Le organizzazioni ambientaliste giustamente festeggiano. E non c’è dubbio che, dal progetto Regi Lagni, a quello Bandiera Blu per la depurazione delle nostre coste, alla bonifica delle discariche abusive, discendono importanti possibilità di sviluppo per la nostra Regione.
In ogni caso, per puntare a un cambio di passo nel Mezzogiorno sarebbe indispensabile una attiva e forte collaborazione tra Roma e le Regioni. Ma se i governatori del Pd non ci sono riusciti quando c’era il Pd al governo, ci riusciranno ora che al governo ci sono i loro avversari elettorali, i Cinquestelle, e i loro avversari culturali, quelli della Lega?