Corriere del Mezzogiorno (Campania)
I DIRITTI NEGATI AI MERIDIONALI
Un ministero per il Sud, che è cosa diversa da un dicastero per la Coesione territoriale e il Mezzogiorno, qual’era quello affidato a Claudio De Vincenti nel governo di centro sinistra, è stata una scelta quasi obbligata di Luigi Di Maio nella lunga e defatigante trattativa con l’alleato leghista per dar vita all’esecutivo giallo verde. Si è trattato di un modo per recuperare, per quanto possibile, la clamorosa amnesia del Contratto di Governo, che incredibilmente non parlava mai di Meridione. Ma anche uno sprovveduto sa bene che non c’è nessuna relazione causa effetto tra l’inserire un ministero dedicato nella compagine di governo e la realizzazione di politiche adeguate a superare i divari, sociali prima ancora che economici.
A cominciare dai troppi diritti di cittadinanza clamorosamente negati a tanti cittadini del Sud.
Il leader dei Cinque Stelle questo l’ha capito bene, al punto da fare del Reddito di Cittadinanza la bandiera della compagnia elettorale nelle regioni meridionali, dove ha fatto incetta di voti. E, nel braccio di ferro con Matteo Salvini, il quale a sua volta puntava a un ministro leghista agli Affari Regionali e alle Autonomie, dicastero decisivo per il suo partito, non a caso affidato a Erika Stefani, ha preteso e ottenuto che fosse lui in prima persona a gestire due ministeri strategici sul versante meridionalistico. Il primo è quello del Lavoro e del Welfare, cabina di comando dalla quale far decollare il Reddito di Cittadinanza. Il secondo quello dello Sviluppo Economico, postazione decisiva per gestire le grandi vertenze aziendali, molte delle quali riguardano imprese ubicate nei territori meridionali, a cominciare da quella simbolo dell’Ilva di Taranto. Dove a fine giugno termina la cassa integrazione e bisogna fare subito un accordo sindacale. A quanti sostengono, tra i Cinque Stelle, che la strada maestra sarebbe quella di una chiusura programmata dello stabilimento e della riconversione economica dell’azienda in tempi mediamente brevi, va ricordato che sul piatto della bilancia ci sono 5,3 miliardi per il rilancio del più grande impianto siderurgico del Mezzogiorno, c’è in campo la cordata guidata dalla multinazionale Arcelor Mittal, c’è un impianto la cui produzione rappresenta quasi mezzo Pil della Puglia. Giocare sul fuoco sarebbe da irresponsabili.
La vera questione con la quale il neo ministro pentastellato Barbara Lezzi dovrà cimentarsi sarà quella di decidere se agire in continuità con la politica meridionalistica fatta dal governo uscente, fondata su alcune linee guida quali le Zone Economiche Speciali, il rispetto del 34% degli investimenti pubblici ordinari nelle regioni del Sud, la strategia di incentivazione alle imprese attraverso Resto al Sud, le decontribuzioni, i crediti d’imposta, o se stravolgere del tutto quelle scelte.
Se un ministro leghista quale Gian Marco Centinaio, titolare dell’Agricoltura, è convinto che facendo ripartire il Mezzogiorno non ferma più nessuno l’Italia, neanche la Germania, allora a maggior ragione i Cinque Stelle dovrebbero far propria quella logica dell’interdipendenza tra Nord e Sud, messa a nudo in modo evidente dall’ultima lunga fase recessiva che ha dimostrato quanto sia fugace l’illusione di un’autonoma via di uscita dalla crisi delle regioni settentrionali se quelle meridionali restano al palo.