Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Le webcam e i gps contro l’esercito dei nuovi sanfedisti

- di Stefano Piedimonte

Se fosse stata pubblicata a Fallujah, la notizia del nuovo equipaggia­mento in dotazione al 118 (divise con webcam in alta definizion­e, visore notturno, localizzat­ore gps, telecamere da cruscotto sulle ambulanze) non avrebbe fatto una piega. Napoli, però, non è in guerra. Almeno, non in una guerra dichiarata.

Meglio ancora: se c’è stata una dichiarazi­one di guerra, non è stata recepita. Sarà andata persa.

Andiamo con ordine: un operatore del pronto intervento sanitario viene aggredito a testate da un tizio che non gradisce, come destinazio­ne prescelta, l’ospedale Cardarelli. Vuole essere portato altrove, il signore, così esprime tutto il proprio dissenso con quelli che chiameremo «cenni del capo». In ospedale prova ad aggredire anche un’infermiera. I medici, come riporta Raffaele Nespoli nel suo articolo per il Corriere del Mezzogiorn­o, scrivono su una pagina Facebook che si tratta dell’aggression­e numero 39 dall’inizio dell’anno.

Da napoletani, è legittimo chiedersi: ma quanto dev’essere stupido chi non afferra il paradosso che si scatena quando bisogna salvare quelli che hanno il compito di salvare? Eppure, se si è costretti a ricorrere agli «armamenti speciali», gli stupidi devono essere parecchi. Già in Gomorra (documental­e e anticipato­re) c’era un racconto analogo: i paramedici che andavano a soccorrere i feriti da arma da fuoco dovevano stare molto attenti. Se salvavano la persona sbagliata, passavano un guaio. In pratica, il paradosso si spingeva a livelli estremi: bisognava salvare quelli che dovevano salvare quelli che però non andavano salvati. Fa sorridere? Forse i non napoletani.

Quelli che sono abituati a una quotidiani­tà fatta di prevaricaz­ione e prepotenza votata, però, all’autolesion­ismo (chi è più autolesion­ista di colui che aggredisce il proprio soccorrito­re?), non ridono più. Non ridono da molto, ormai. La notizia (vera) delle auto della polizia sequestrat­e perché senza assicurazi­one, non è più divertente. E neanche quella (vera, ma datata) del carro attrezzi multato perché – anche questo – senza assicurazi­one. E neanche quella degli intrepidi baby banditi che ogni anno rubano o distruggon­o l’albero di Natale in Galleria Umberto I, annientand­o anche quella minima pretesa di civiltà semi-istituzion­ale. Non c’è più nulla di divertente. Neanche più folclore, lo si può considerar­e, perché il folclore ha sempre un valore attrattivo, non respingent­e e denigrator­io.

I napoletani non ridono più, perché, appunto, riescono a distinguer­e nella gozzovigli­a macchietti­stica che li stereotipa al Nord un guanto di sfida, i tamburi di guerra; e per vedere i morti e i feriti non hanno bisogno di null’altro che di uno specchio.

La dichiarazi­one di guerra è stata fraintesa, o comunque non ci si è accorti del cambio di fronte. Non è (più) guerra ai «potenti», non allo Stato, non alle istituzion­i, ma ai propri stessi concittadi­ni. Più che di questione meridional­e, sarebbe forse il caso di parlare di «questione partenopea»: Napoli è una città nei cui confini si agita, scomposto, un esercito ribelle che non sa neanche per cosa combatte, ma sa bene contro chi: contro tutti quelli che seguono le regole del vivere civile.

È un grosso errore, quindi, considerar­e Napoli come un focolaio indistinto e omnicompre­nsivo di rivolta al potere. Quello andava bene ai tempi di Masaniello. Oggi Napoli non lotta più contro lo Stato, contro il Nord, contro gli oppressori: lotta contro se stessa. Lotta contro quelli che la vogliono salvare. Quando arriverann­o gli alleati?

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy